Amélie Poulain (Audrey Tautou) è una curiosa ragazza parigina che lavora come cameriera in un caffè e vive piccole e stralunate avventure quotidiane. La sua esistenza viene sconvolta quando trova per caso una scatola contente ricordi di infanzia di uno sconosciuto e decide di ritrovarlo per restituirgliela.
Le fabuleux destin d’Amélie Poulan
Francia 2001 (120′)
Parigi è una cartolina elettronica, la scenografia d´un musical americano di Gene Kelly, un panorama inventato mettendo insieme luoghi comuni e souvenir, oppure è Colonia, la città tedesca dove parte de Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet è stato girato. I parigini sono maniaci, ossessi, coatti, fobici, disadattati: un anziano dalle ossa fragili come vetro, che non esce mai di casa e da vent’anni dipinge copie (una all’anno) dello stesso quadro di Renoir; un commerciante di alimentari che sadicamente insulta e terrorizza il suo giovane commesso; una portinaia che da decenni aspetta il marito infedele scomparso; un padre, orgoglioso proprietario di un nanetto da giardino con cappuccio rosso; un bel giovane che colleziona in album le foto-tessera scartate delle cabine pubbliche. Amélie, la protagonista, è una cameriera di caffè sola, una ragazza bruna e magra, di poca statura, con gli occhi puntuti e l´espressione lievemente maligna, con un bellissimo taglio di capelli e un appartamento a Montmartre: la scoperta d´una scatola di tesori infantili, l´indagine per trovarne il proprietario e la felicità di lui nel rivivere gli anni di bambino la convincono a diventare altruista, a insinuarsi nella vita degli altri per renderla migliore, a vendicare i torti da loro subiti. Invadente e supponente come una fata o una strega, l´impicciona trova la felicità anche per se stessa, benché ci voglia parecchio tempo per arrivarci.
Il film-fenomeno (otto milioni di spettatori in Francia, vincitore del Felix europeo, candidato all’Oscar, oggetto d´una speciale sfilata di Gaultier, gran successo ovunque) non è dunque la fiaba rosa d´una buona fata, ma la favola nera d´un mondo di personaggi immaturi, inseguitori del sogno, patologicamente incapaci di accettare la realtà: abbastanza cinica, anche cattiva, come si poteva aspettarsi dal regista quarantasettenne di Delicatessen e de La cité des enfants perdus. Cinematograficamente, se non fosse così lungo il film sarebbe un incanto. Come in Mon oncle d´Amérique di Alain Resnais, citazioni da filmquizn°60 o programmi tv, spesso in bianco nero, assumono funzioni esplicative, allusive, poetiche, molto efficaci e divertenti. Il lavoro di post-produzione digitale, condotto sino all’ultimo minuto, accentua la natura astratta o pittorica dei luoghi. Scelta e direzione degli attori caratteristi (protagonista compresa) sono perfette; i personaggi stereotipatamente parigini sono descritti con un´ironia rivolta non verso i personaggi ma verso gli stereotipi…
Lietta Tornabuoni – La Stampa
Amélie Poulain, il dolce, bizzarro angelo custode di Montmartre, plana tra noi già coronata di una spessa aureola mediatica. Nei prossimi giorni si accettano scommesse cominceremo a descriverci (o qualcuno lo farà a nostre spese) alla maniera in cui Jean-Pierre Jeunet descrive i personaggi del film, con “quel che ci piace” e “quel che non ci piace”: diventerà uno dei tormentoni che nascono al cinema e si diffondono nel gergo sociale, come “le cose per cui vale la pena di vivere” di Allen o “dì qualcosa di sinistra” di Moretti. Ma che aspetto ha, in definitiva, Il favoloso mondo di Amélie? Nel film (di enorme successo in patria, vincitore dell’oscar europeo, candidato francese all’Oscar con la maiuscola) c’è un personaggio che ogni anno per vent’anni ha dipinto una copia conforme dello stesso quadro di Renoir (padre). Alla fine lo riproduce ancora una volta, però cambiandone figure e dettagli. È la metafora di quanto ha fatto Jeunet come sceneggiatore e regista: ha ricreato il clima dei vecchi film populisti di Renoir (figlio) e di Prévert, ma reinterpretandolo con una sensibilità contemporanea e un po’ beffarda (nient’affatto buonista, dunque, malgrado ciò che se ne è detto). Dopo un’infanzia solitaria Amélie, un po’ fatina un po’ Zorro, si trasforma in paladina della felicità altrui per compensare l’opacità della propria vita. E’ innamorata di Nino, Amélie: solo, non osa farsi riconoscere dal suo principe azzurro. Poiché il film è una fiaba, c’è da giurare che vivranno felici e contenti. Dopo il truculento Delicatessen e una serie di altri titoli (tra cui il quarto Alien) variamente giudicabili, ma molto personali, Jeunet va a centro con una commedia piena di fantasia, tenerezza e umorismo, fitta di personaggi disegnati con efficaci tocchi da impressionista: l’odioso fruttivendolo e il commesso sognatore, l’innamorato geloso e la barista ipocondriaca, il pittore malato e la portinaia nevrastenica, il giovanotto che colleziona fototessera fatte a pezzetti. Consapevolmente anacronistico (la storia si svolge nella Parigi del 1997, ma il tempo sembra sospeso), volutamente eccentrico, Il favoloso mondo di Amélie ha un po’ l’aspetto di un “corto” allungato a due ore; senza che ciò, per una volta, rovini il risultato. Le invenzioni registiche si moltiplicano; i colori mutano, variando dall’acido alla quasi-monocromia; gli effetti speciali offrono continue sorprese.
Roberto Nepoti – La Repubblica
LUX marzo 2002
cinélite TORRESINO all’aperto: giugno-agosto 2002
V.O.S. LUX: novembre-dicembre 2002