Una giornalista egocentrica e narcisa, France, vera celebrità nel mondo dell’informazione televisiva si divide tra conferenze stampa in cui sfoggia il suo fascino e carisma, e programmi e servizi in Medio Oriente come inviata di guerra. Uno strano incidente d’auto scompaginerà la sua brillante carriera.
Francia/Ger/Belgio/Ita 2021 (133′)
France, ultima fatica del geniale autore francese Bruno Dumont, arriva a raccontare la crisi personale, lavorativa e nervosa della sua omonima protagonista, una bella regina dei prime-time e dell’apparenza interpretata da Léa Seydoux.
France arriva a due anni di distanza da Jeannette, seconda parte dell’affascinante dittico sperimentale e musicale dedicato a Giovanna D’Arco, e rappresenta un nuovo scandaglio da parte di Dumont, che lo porta a mescolare un racconto ineditamente pop con gli stilemi esistenzialisti e nichilisti della sua analisi cinematografica.
Il risultato è un vero e proprio capolavoro, altra tappa che riconferma (ce n’era bisogno?) la versatile e profonda vivisezione dell’animo umano del microchirurgo Dumont. Questa volta la desolazione e la de-umanizzazione dei suoi protagonisti non sono confinate nelle “sacrificabili” campagne francesi come ne L’Umanità o L’Età inquieta né nei deliri psicoreligiosi di una eretica messa al rogo, bensì sfociano sul principale canale televisivo e nelle zone d’ombra della primadonna del mezzo televisivo nazionale.
La disgregazione umana però è la stessa, anche quando il soggetto è una donna idolatrata, famosa ed invidiata. E così fa più impressione. La valenza universale e l’impatto delle pessimistiche teorie antropologiche di Dumont vengono così disarcionate e consacrate in maniera incontrovertibile.
France è originale satira mediatica ma anche caricatura di melodramma ma anche spaventosa equazione della fragilità umana, della transitorietà della fama e della manipolazione su piccola e larga scala. Dalla protagonista, interpretata con calzante antipatia dalla Seydoux, alla sua appiccicosa e servile assistente, fino addirittura al “popolo” che perdona ed assolve la menzogna con un selfie, Dumont distribuisce equamente spregevolezze e compatimenti, non senza allegarci un messaggio finale di distorta, effimera speranza di auto assoluzione. E come sempre, sembra sapere molto prima di tutti noi chi e cosa distruggerà l’”humanité”.
Luca Zanovello – masedomani.com
Deserto, zona di guerra: la giornalista France de Meurs intervista un militante contadino improvvisato soldato in merito a come l’aiuto delle milizie francesi nella lotta contro l’ISIS è visto dalla popolazione locale. L’uomo risponde con insicurezza e balbettando: la donna decide così di rigirare il filmato suggerendogli dove guardare e come muovere le braccia, optando infine per una libera traduzione del suo pensiero. Questa scena, posta all’inizio del film, è indicativa del modus operandi della protagonista, l’inviata e conduttrice del programma “A regard sur le monde” (“Uno sguardo sul mondo”), trasmesso da una delle principali reti televisive all news della Francia, che l’ha resa una vera e propria star, ricca e famosa. Impegnata nel portare nelle case degli spettatori tutta l’attualità “senza filtri”, dai dibattiti politici in studio ai reportage sui migranti in mare, diventerà vittima lei stessa di questa macchina quando in automobile investe accidentalmente un giovane arabo in bicicletta, causandone il ricovero in ospedale. Scoprendo le condizioni disagiate in cui vive la sua famiglia, decide di aiutarli economicamente, ma non potrà evitare di finire nell’occhio del ciclone mediatico.
France, in concorso al 74° Festival di Cannes, è uno scorcio sul dietro le quinte dei media moderni, per svelare come si costruisce il loro sedicente reale, rappresentando i “trucchi” in tutta la loro artificialità, come evidenzia la prima scena, in cui France, insieme a molti altri colleghi, intervista il presidente Emmanuel Macron, che compare in un esplicito green screen che lo separa nettamente dal contesto. Imbevuto di questa commistione tra vero e falso, narra la parabola di una figura femminile a cui non è concesso avere una dimensione privata, un’immagine che non sia quella riflessa sullo schermo, per cui diventa impossibile capire l’autenticità delle lacrime che concede alla telecamera, mentre lei cerca disperatamente un frangente in cui versarne una fuori dallo sguardo altrui. “Tutti dalla mia immagine traggono elementi che non mi appartengono: vorrei essere trasparente”, confida alla sua terapista. E ponendosi dunque come una riflessione sull’azione dell’occhio della stessa macchina da presa, che filmandone il volto ne cerca di catturare le emozioni: sovente l’inquadratura si sofferma sui suoi primi piani, per diversi secondi accompagnata da melodie elettroniche, con un forte effetto di straniamento, fino a quando lei stessa guarda in macchina, interrogandolo e interrogandoci.
Bruno Dumont realizza un’opera la cui confezione, solo in apparenza tradizionale, viene filtrata da quel senso del grottesco e da quella satira della società che ha caratterizzato i suoi ultimi lavori (Ma Loute e la serie P’tit Quinquin), riversato qui verso tutti i suoi strati. Le classi abbienti e intellettuali: France vive col marito scrittore una relazione dove non c’è amore ma solo interesse economico; nella loro villa volutamente kitsch durante i salottini si discute animatamente sulla differenza tra saggio e narrativa. Quelle più povere: la famiglia del ragazzo vittima dell’incidente a cui non sembra interessare nulla del suo destino quando la visita di una grande star li rende ammaliati e onorati; chi davanti al lutto si preoccupa solo di scattare delle foto per immortalarlo e condividerlo. Dietro la patina giace l’anima più profonda di tutta una nazione, incarnata dalla protagonista, dal palese nomen omen, che si propone di aiutare il resto del mondo ma poi non sa riconoscere il marcio che ha al suo interno, che si professa di mente aperta, ma che poi non accetta che una moglie possa guadagnare cinque volte di più del marito.
Luca Sottimanoi – ondacinema.it