Cosa potrebbe succedere se un quattordicenne, Brando, una studentessa, Camilla, che contrabbanda medicinali e sigarette e un maestro di tennis americano con velleità artistiche, Ben, decidessero di aiutare un migrante a varcare il confine con la Francia?
Italia 2019 (93′)
Opera prima dei fratelli Orso e Peter Miyakawa, Easy Living – La vita facile è un curioso oggetto cinematografico che schiera un trio di personaggi decisamente bizzarro al servizio di una vicenda ancor più stralunata e strampalata. I due registi, ispiratisi alla propria infanzia al confine tra la Francia e l’Italia, danno vita a una farsetta curiosa e rocambolesca che ha dalla sua un’ampia fetta di originalità e dei personaggi sempre sull’orlo della macchietta, ma al contempo ben connotati nel loro misto di arrendevolezza, brio surreale e vitalità arruffata e fuori dai margini e dai canoni. Fin dall’inizio la regia si concede più di un’idea grafica interessante, come nella sequenza iniziale che cambia diversi fondali nella stessa inquadratura, passando dalla prostituzione stradale all’import/export sui generis di Camilla fino a una sorta di portale immaginario a cavallo di Ventimiglia e del confine franco-italiano.
Peccato però che lo sviluppo del film si faccia col passare dei minuti decisamente più fragile e interdetto: in particolare il blocco centrale, quando la storia si richiude troppo in interni, convince meno e le stranezze si fanno più irricevibili e male in arnese, poco incasellate nel disegno complessivo e lasciate andare a briglia sciolta. Anche i migranti, scomodati in maniera un po’ fugace e pretestuosa alla maniera di A Bigger Splash (2015) di Luca Guadagnino e Happy End (2017) di Michael Haneke, sono un fantasma col quale si fanno i conti solo marginalmente, mentre sono più interessanti le mini-sequenze d’azione un po’ da sciarada (in una di esse, d’ambientazione notturna e marittima, c’è anche una batteria alla Birdman) e lo sviluppo dei personaggi, in particolare quello del maestro di tennis: la presenza in partenza più frivola, scema e leggiadra, arriva a coincidere via via con il cuore del film e a lui è affidato, in una delle scene più riuscite, il senso malinconico e il sentimento di impotenza racchiuso nel titolo, meno ottimistico di quanto si potrebbe pensare a una prima, superficiale lettura. Al netto di tutti i suoi limiti rimane comunque una visione piacevole, buffa ed estremamente peculiare, con più di qualche rimando in tono comunque minore, soprattuto quando i noti vengono al pettine, al cinema più recente del cineasta finlandese Aki Kaurismäki (specie sul fronte del personaggio di Elvis, che vorrebbe oltrepassare di nascosto la frontiera per arrivare dalla moglie incinta in Francia).
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