Storia delle sorelle March: Meg (la saggia primogenita), Jo (col sogno di diventare scrittrice(, Beth (timida pianista) e Amy (immatura ma vitale), quattro giovani donne determinate a seguire i propri sogni, alle prese con i classici problemi della loro età sullo sfondo della Guerra di secessione americana. Greta Gerwig riporta al cinema il romanzo di Louisa May Alcott con un piglio all’insegna di un’aggraziata e contagiosa modernità e ne fa un nuovo classico: femminile e femminista, sfarzoso e sentimentale. Imperdibile.
USA 2019 (135′)
Il film di Gerwig – che è stato candidato all’Oscar, ma lei come regista incredibilmente no – non è un semplice adattamento cinematografico del libro. Riesce a raccontarne il senso, restando accanto al testo con rispetto e cura, ma arrivando a rendere il fatto che al di là dell’epoca in cui fu scritto, qui non c’è niente di datato, e nulla di superato. Parla di lei, di Louisa May Alcott, di donne, di (in)dipendenza economica, di arte e anche di cinema, facendosi beffe di come, anche attraverso il cinema, l’esistenza femminile sia stata piegata e deformata (ci arrivo). È mainstream e radicale allo stesso tempo.
Il libro di Louisa May Alcott (che conosciamo diviso in due volumi: Piccole donne e Piccole donne crescono) nasce invece come opera unica. Il film non trascrive in modo lineare la vita delle quattro sorelle dall’infanzia all’età adulta, ma rimescola l’ordine cronologico del testo iniziando quando Jo, Meg, Amy e Beth sono adulte e tornando di continuo indietro nel tempo. La maggior parte dei dialoghi riprende quelli del libro, ma decostruendo la linearità della narrazione il film permette di procedere per temi e di tirarne fuori l’essenza femminista.
Giulia Siviero – ilpost.it
La regista di Lady Bird torna su un classico della femminilità come il romanzo di Louisa May Alcott e ne dà una sua personalissima versione, fedele all’opera letteraria, ma più moderna e innovativa.Il Piccole Donne di Greta Gerwig inizia infatti con le protagoniste già adulte, (il racconto delle sorelle bambine viene proposto attraverso una serie di flashback) ognuna alle prese con la propria vita: Jo è occupata con la sua scrittura, Meg con il matrimonio, Amy è in Francia con Zia March a studiare pittura, Beth è gravemente malata. Ognuna di loro sta scegliendo che donna essere e non a caso – d’altronde siamo alla fine del 1800 – il fantasma del matrimonio visto come unica condizione di sopravvivenza aleggia su di loro. Jo è l’unica che lo rifiuta categoricamente: alter ego di Louisa May Alcott, la protagonista che tutti avremmo voluto essere leggendo il libro e a cui è affidata la narrazione della storia, alla fine non avrebbe dovuto sposarsi. Fu l’editore a costringere la Alcott a far sì che Jo fosse realizzata sia come scrittrice sia come moglie.
Femminile e femminista, sfarzoso e sentimentale, il Piccole donne di Greta Gerwig è un nuovo classico cinematografico, prezioso manifesto sul “sei tu l’autore della tua vita, quindi scrivila come meglio credi”.
Greta Gerwig ha voluto dare al romanzo di Louisa May Alcott una chiave più fresca e contemporanea. Per questo ha deciso di non proporre una versione lineare della storia delle sorelle March (meglio rileggere il libro prima di andare al cinema se non si ricorda), ma di cominciarla con loro adulte, ognuna lontana da quella casa che le ha viste crescere insieme e il cui ricordo viene affidato a una serie di flashback.
La scelta le ha permesso di entrare nel vivo delle questioni femminili che sta affrontando ciascuna di loro, offrendo il suo tenero e intelligente punto di vista.
grazia.it
L’attrice Greta Gerwig, dopo aver ricevuto un’ottima accoglienza col precedente Lady Bird (2017), firma un adattamento del noto romanzo di Louisa May Alcott, pubblicato in due parti tra il 1868 e il 1869 e annoverabile a pieno titolo tra i grandi classici della letteratura americana. L’approccio della Gerwig mantiene intatto lo spirito del testo portandolo sul grande schermo con una buona dose di fedeltà e non discostandosi troppo dall’impianto narrativo delle molteplici trasposizioni cinematografiche che si sono succedute negli anni, da quella del 1933 di George Cukor con Katharine Hepburn al film del 1994 con Wynona Ryder, Susan Sarandon e Kirsten Dunst passando per la versione forse più celebre, datata 1949 e con Elizabeth Taylor.
L’ex attrice di riferimento del mumblecore e del cinema indipendente americano (Frances Ha, Mistress America…), anche sceneggiatrice, provvede però ad appropriarsi di Piccole donne con un piglio all’insegna di un’aggraziata e contagiosa modernità, forte di non poche spolverate di contemporaneità che vanno a irrorare il testo e a illuminarlo, seppur con una certa furbizia, di una luce al contempo vecchia e nuova, antica ma non per questo non attuale. La Jo della Ronan, già interprete del precedente film della Gerwig, proprio come la Christine McPherson di Lady Bird continua a essere un alter ego della cineasta, dolcemente connotato di elementi autobiografici (la passione testarda della scrittura, che la portò ad abbandonare la sua Sacramento per New York) e meravigliosamente interpretato dall’attrice irlandese in un misto di energia e intemperanza, spigolosità e dolce, contagiosa risolutezza. Un atteggiamento pronto ad abbracciare tanto la condizione delle figure femminili quanto il sentimento amoroso, per non parlare delle non poche prese di coscienza sulla società di ieri e di oggi e di qualche stoccata ironica ma molto precisa al mondo dell’editoria, della letteratura e dell’intrattenimento in generale: mondi all’interno dei quali anche il matrimonio è destinato a diventare un contratto di natura esclusivamente economica e il destino delle donne, che siano coniugate o defunte (tertium non datur), è appannaggio delle royalties.
Il copione, dal canto suo, è brioso e preciso come un orologio, anche se in più di un’occasione fa capolino una certa, smaliziata scaltrezza ecumenica nell’approccio e nella sostanza, che tuttavia inficia solo in parte il buon impatto di un film restio a strizzate d’occhio troppo vistose e galvanizzato da ottime prove attoriali, tutte ispirate e ben amalgamate tra loro. Nel cast anche Laura Dern (mamma Marmee), Timothée Chalamet, che riesce a imprimere al suo irrequieto Laurie il giusto passo, un solare Louis Garrel e una sferzante e irresistibile Meryl Streep nei panni dell’altera zia March. Pieno di talento anche il comparto tecnico, dalla fotografia in 35mm di Yorick Le Saux al montaggio di Nick Houy (particolarmente significativo nel gestire i piani temporali) passando per le musiche di Alexandre Desplat, che firma una delle sue migliori colonne sonore in assoluto.
longtake.it