Anni ’60, isola di Favignana. Lucia, una bambina di 11 anni, è stata lasciata in custodia alla nonna Maria dopo che i genitori sono stati costretti a migrare in Francia per cercare lavoro. Sull’isola la piccola non può però frequentare la famiglia della prozia, sorella della nonna, che non sono in buoni rapporti. Lucia pur considerando Maria severa e anaffettiva non capisce cosa o chi abbia fatto crescere tanto astio tra loro. Non sa che il segreto di sua nonna non è altro che un tentativo di proteggerla… La storia “al femminile” del romanzo di Catena Fiorello è trasposta in un racconto cinematografico scarno, fatto di silenzi e di emozioni represse, incastonato nella natura impervia di una terra piena di luci abbaglianti e di ombre profondissime.
Italia 2019 (95′)
Favignana, fine anni Sessanta. Lucia ha dieci anni e ha appena visto la sua famiglia partire: mamma, papà e il fratellino si sono trasferiti in Francia in cerca di quel lavoro che nell’isola manca. Lucia è stata affidata a nonna Maria, una di quelle donne del sud definite “reggitore”: severe, autoritarie e poco portate per le smancerie. Per motivi apparentemente inspiegabili, e certamente mai spiegati dalla diretta interessata, Maria è in rotta con la sorella Pina, il cui marito Saro ha soprannominato la cognata “la Generala”. E la figlia di Saro e Pina, Rosa Maria, è innamorata di un uomo sposato. L’unica fonte di leggerezza per Lucia è una compagna di scuola con la quale la bambina ritrova occasionalmente le gioie dell’infanzia. È questo il perimetro ristretto entro il quale si muove la quotidianità della “picciridda” che dà il titolo al lungometraggio di esordio di Paolo Licata.
Il regista siciliano 38enne ha voluto adattare per il grande schermo il romanzo omonimo di Catena Fiorello mettendoci tutti i colori, i suoni e i profumi della sua terra di origine. Licata racconta la cosiddetta “emigrazione passiva”, ovvero quella di chi è rimasto nel luogo natale e deve fare i conti con il senso di abbandono e l’impossibilità di comunicare con i propri cari partiti, ma traccia anche il ritratto di una comunità in cui una piccirilla è figlia di tutti e tutti a modo loro le si stringono intorno. Sul paese giganteggia nonna Maria, soprattutto perché la magnifica Lucia Sardo si è cucita addosso il ruolo in modo magistrale: i sentimenti le si leggono in faccia dietro la scorza ruvida e i modi bruschi, e c’è qualcosa di terribilmente affascinante in questa donna che “veste i morti” con cura commovente e vive di orgoglio e indipendenza. In lei c’è tutta una femminilità siciliana combattiva circondata da un contesto di obbedienza a regole declinate al maschile. La sceneggiatura, di Licata e Catena Fiorello con la collaborazione di Ugo Chiti, delinea la figura di nonna Maria per sottrazione, riducendo le sue azioni e le sue battute all’essenziale e centellinando le spiegazioni relative alla sua feroce indipendenza.
A mano a mano che la storia si dipana capiamo meglio i rapporti fra i personaggi e la crudeltà inevitabile di certe scelte. Anche la regia, pur nella sua convenzionalità formale, è scarna e antiretorica, costruita sui dettagli della quotidianità e sui non detti, e comunica la nostalgia straziante di chi è rimasto indietro così come la solitudine di chi ha disubbidito alle regole di una società arcaica e intransigente. La violenza è sottesa e onnipresente, nelle botte inferte ad una donna “scostumata” come nelle cucchiaiate assestate a una bambina, nonché nelle attenzioni non richieste di uomini abituati a sentirsi padroni assoluti dell’altra metà del cielo. (…) Picciridda è una storia di femmine volitive incastonate in una natura impervia e animate da un fuoco interiore che diventa a volte passione, altre ostinazione rabbiosa e altre ancora tenerezza struggente. Licata e Fiorello vogliono bene a tutte queste donne grandi e piccole come alla loro terra piena di luci abbaglianti e di ombre profondissime.
Paola Casella – mymovies.it