Algeria, anni ’90. Nedjma, una studentessa di 18 anni appassionata di design della moda, rifiuta di lasciare che i tragici eventi della guerra civile algerina le impediscano di vivere una vita normale e di uscire la sera con la sua amica Wassila. Mentre il clima sociale diventa più conservatore, rifiuta i nuovi divieti posti dai radicali e decide di lottare per la sua libertà e indipendenza allestendo una sfilata di moda… Tra commedia spensierata e dramma politico Non conosci Papicha è un inno vitale e liberatorio al coraggio e alla determinazione delle donne, alla forza creativa dell’amicizia e alla complicità della giovinezza.
Papicha
Francia/Argentina 2019 (105′)
Nedjma è una ragazza vivace che ama la moda e sogna di fare la stilista. Frequenta l’università, esce di nascosto la sera con la sua migliore amica, ma nell’Algeria degli anni Novanta viene mal giudicata da chi disprezza la libertà – di pensiero, di vestiario, di movimento, di stile di vita – femminile. La voglia di mettere su la sua prima sfilata viene dunque vista come un affronto dai fondamentalisti del posto, e la sua vita e quella delle sue amiche inizia a prendere una piega sempre più pericolosa.
Per il suo debutto nella fiction la documentarista Mounia Meddour sceglie una storia che le è cara, perché è la sua. Le fondamenta autobiografiche si percepiscono chiaramente: Papicha – termine algerino per il nostro ‘hipster’ – è un crescendo di tensione narrativa ed emozioni mutiple che arrivano dritte allo spettatore e lo stordiscono, raccontando una realtà ancora attuale.
Il fondamentalismo religioso, la respressione cieca, l’ottusità di chi mira a mettere a tacere la forza vitale delle donne per renderle sudditi obbedienti da gestire a proprio piacimento. La forza del film sta proprio nel raccontare la quotidianità di una ragazza comune che diventa suo malgrado ribelle e anticonformista. In un’altra società sarebbe soltanto una giovane donna desiderosa di coronare il suo sogno – e potersi scegliere la propria vita, il proprio look e il proprio amore – ma nel contesto che ben mette in scena Meddour diventa una minaccia, un insopportabile elemento di disturbo, l’anomalia di un integralismo che trasforma chi non aderisce alle sue regole in bersaglio facile.
Pende una scure minacciosa sul capo della protagonista e delle sue amiche, che nel frattempo tentano di vivere come possono la loro adolescenza, le prime esperienze sentimentali, gli studi universitari e le vicissitudini di un contesto tutt’altro che semplice. Ma soprattutto approfondiscono quei legami amicali che diventano vincoli di sorellanza nei – non pochi – momenti critici.
Gravidanze inaspettate, violenze in famiglia, tentati stupri, omicidi con il solo movente (non movente) religioso: durante la Decade Nera degli anni ’90 in Algeria furono assassinate 150mila persone, e la regista non ha paura di raccontarlo. Scrive di suo pugno il film evitando a ragione la retorica e spingendo l’acceleratore sul pathos, in un crescendo di scioccanti emozioni.
L’attrice Lina Koudri al suo terzo film firma una performance sensazionale: la sua Nedjma è un personaggio che resta nel cuore. Un’eroina per caso, una che non si arrende di fronte a nulla. Vuole decidere da sola il proprio destino e lo fa con tutte le forze che possiede, resistendo con perseveranza e coraggio a chiunque pretenda – per usare un eufemismo – di addomesticarla. Una ragazza che sa attraversare il dolore trasformandolo in colore e creazione, e sceglie di farsi paladina di una commovente rivendicazione collettiva: una sfilata di studentesse per poter affermare, l’una di fronte l’altra, di esistere.
Claudia Catalli – mympvies.it