Andrea Segre racconta la città della sua infanzia, Venezia, in cui è rimasto bloccato durante i mesi del lockdown mentre stava girando un documentario per analizzare due dei suoi più grandi problemi: il turismo e l’acqua alta. Recuperando vecchie foto, filmati e lettere, il regista ritrova le sue radici, riscoprendo la figura del padre, Ulderico, stimato professore di chimica, che ha studiato per tutta la vita elementi e reazioni per dare un senso all’imprevedibilità della vita. Un documentario “imprevisto”, un film sul dolore. Malinconico e affascinante.
Italia 2020 (68′)
Venezia la Serenissima. Venezia la bellissima. Venezia amata, anche da Indiana Jones, che nel film L’ultima Crociata di Steven Spielberg dice: “Adoro Venezia!” non appena ci mette piede. Venezia è però anche quella raccontata da Thomas Mann nel romanzo Morte a Venezia, in cui c’è un fortissimo senso di morte e decadenza. Nello scrivere la recensione di Molecole, documentario di Andrea Segre che ha preso alla sprovvista lo stesso autore, non si può non sottolineare come la città sia una vera e propria metafora galleggiante.
Film di pre-apertura della 77esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Molecole non poteva che essere presentato nella città in cui è stato girato. Inizialmente Andrea Segre voleva raccontare la città soffermandosi sui suoi due problemi principali: il turismo e l’acqua alta, che stanno letteralmente affondando il capoluogo del Veneto. A bordo di una gondola, “non quella per i turisti” come si dice nella pellicola, scortato da una famiglia di gondolieri, il regista voleva cogliere lo spirito moderno di Venezia esplorando i suoi canali. Ma, mentre stava girando, a febbraio 2020, è arrivata la pandemia da COVID-19 e con lei il lockdown. Bloccato nella casa della sua infanzia, l’autore ha recuperato vecchi filmati di famiglia, fotografie e una lettera scritta al padre quando aveva 25 anni. La quarantena gli ha quindi permesso di farsi delle domande sul rapporto con il genitore, trasformando completamente il suo documentario. Che diventa quasi un giallo, alla scoperta di questa figura avvolta dal mistero.
Chiunque sia mai stato a Venezia sa che, appena usciti dalla stazione Santa Lucia, ci si trova immediatamente di fronte a una bellezza quasi commovente: chiese e palazzi, sostenuti da palafitte, si riflettono nell’acqua, il cui colore si mescola a quello del cielo. Un colpo d’occhio incredibile e unico, che fa immediatamente pensare a quanto possano essere folli, ma anche capaci di cose straordinarie, gli esseri umani. Chi ci è stato sa anche che difficilmente il piazzale davanti alla stazione è vuoto: orde di persone si mettono in fila per prendere i taxi, sui ponti c’è una fiumana di gente, piazza San Marco di solito è satura fino a scoppiare. Invece durante il lockdown, come testimoniano le immagini di Molecole, Venezia sembrava una città fantasma, abitata solamente dai piccioni. I racconti dei pescatori e degli esperti, che all’inizio del documentario spiegano come si stia cercando di salvare Venezia dall’inabissamento, diventano quindi doppiamente malinconici: la caducità della vita umana si rispecchia in quella della città, che sembra destinata a dover sprofondare, un sentimento che il restare bloccati in casa ha acuito in modo esponenziale. Chissà che effetto deve aver fatto sentire dalla finestra il rumore dell’acqua nel silenzio assoluto. Quei canali diventano però presto delle vere e proprie vene, o dei gangli nervosi, ripercorrendo i quali Andrea Segre mette piano a piano a fuoco la figura del padre, Ulderico Segre, stimato docente all’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, ordinario di Chimica Fisica presso la facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dal 1991, scomparso nel 2008.
Da sempre malato al cuore, Ulderico Segre, secondo le parole del figlio, ha passato la vita ad analizzare particelle e reazioni chimiche per cercare di dare una spiegazione all’imprevedibilità dell’esistenza. Un po’ quello che, anni dopo, ha fatto il figlio con questo documentario: ritrovando scritti, fotografie, filmati, ha disseminato con il metodo di uno scienziato il suo rapporto col genitore, presenza importante, ma sempre più distante man mano che il regista cresceva. Ogni telefonata era una promessa di raccontarsi tutto dal vivo e quel momento è arrivato raramente. Ecco che quindi la macchina da presa diventa il mezzo con cui dialogare finalmente a cuore aperto con il padre, dicendo tutte quelle cose rimaste inespresse negli anni, imprimendole sul grande schermo oltre che sulla carta, unico spazio in cui l’autore era riuscito ad aprirsi di più. Ritrovando le proprie radici, Andrea Segre ha riscoperto anche la sua città natale: vivendo i mesi del lockdown lì e ascoltando quello che Venezia aveva da dire in quei giorni, ha ridefinito il proprio rapporto con lei. Polo attrattivo per eccellenza grazie alla sua bellezza, la Serenissima è spesso soffocata dai turisti: godersela in silenzio e vuota, ha permesso all’autore di capire e ridefinire il suo ruolo e il significato nella realtà di oggi. Una città che mostra come debolezza e forza possano, e a volte debbano, convivere.
Valentina Ariete – imovieplayer.it