Pensionati solitari nella Roma popolare di oggi alle prese con magre entrate economiche, Giorgetto e il Professore iniziano a progettare di fuggire all’estero per sfruttare il cambio favorevole o un migliore potere d’acquisto. Chiedono consulto ad Attilio, coetaneo che ancora si arrabatta tra diversi lavori e che dice di aver viaggiato il mondo. Il progetto di fuga all’estero diventa a tre, resta “solo” da scegliere la destinazione e organizzare il viaggio… Un ritratto umano schietto e amarognolo con tutto l’appassimento di sogni e ambizioni della terza età ma anche con un delizioso umorismo ora stropicciato ora stralunato. Una fotografia di personaggi e ambienti tutt’altro che stucchevole e quasi utopica.
Italia 2019 (90′)
Gianni Di Gregorio torna per la quarta volta dietro la macchina da presa per raccontare ancora di anzianità, affrontando un tema particolarmente sentito nel nostro paese: la difficoltà di arrivare a fine mese per molti pensionati e il conseguente desiderio di scappare all’estero, in un non meglio identificato Eden dove il potere d’acquisto delle pensioni permette una vita decorosa. Questo il fulcro narrativo attorno al quale ruota una settimana dei tre protagonisti, le cui giornate sono scandite dal regista con precisione, a voler mostrare l’evolversi del ‘piano di fuga. Lontano lontano è il frutto di un lavoro meticoloso che ha impegnato Di Gregorio per quasi tre anni, prima per concretizzare sul set l’idea (suggeritagli da Matteo Garrone, al quale è legato da anni di collaborazione creativa), passando anche, in fase di scrittura, attraverso la composizione di un racconto sul tema, pubblicato da Sellerio.
In questo film, come in quelli precedenti, il regista capitolino adotta un registro narrativo dialetticamente e visivamente semplice, ma questa naturalezza espressiva è il frutto di un lavoro certosino col quale Di Gregorio cura ogni comparto. I tre protagonisti sono definiti con cura: quello interpretato dal regista, viene chiamato da tutti Professore, avendo insegnato greco e latino per tutta una vita, e possiede quel garbo e quelle buone maniere che appartengono al cineasta stesso. Attilio, cui presta cuore e anima un bravissimo Ennio Fantastichini, è un uomo immaturo, nonostante l’età, tenuto d’occhio da una giovane figlia che, al momento giusto, sa fargli riconsiderare la giusta ottica con cui osservare la vita. Attilio, a quanto dicono chi ha ben conosciuto l’attore, è un alter ego cinematografico dell’artista scomparso, che possedeva lo stesso temperamento, lo stesso cuore. Giorgio Colangeli veste egregiamente i panni di Giorgetto, il più preoccupato dei tre, dati gli esigui introiti economici. I tre fanno scintille sullo schermo e il loro desiderio più che di fuga è di una maggiore tranquillità economica, da lì la voglia di seguire le orme di tanti connazionali che scelgono di lasciare l’Italia dopo la pensione.
Ma Lontano lontano non è la storia di ‘pensionati disperati’, bensì un affresco di anime, che mostra una Roma intima ed aggraziata, con movimenti di macchina che la fotografano senza enfasi, e forse per questo la rendono ancora più bella. La vita dei tre uomini, il baretto sotto casa, il tabacchi dietro l’angolo, raccontano un’esistenza che non si vergogna della sua lentezza, immersa in una sorta di pigrizia collettiva in cui il vino e il cibo sono storia nella storia: da una minestra umile si possono ben intuire le possibilità economiche di chi la mangia. C’è poi la storia nella storia, quella di Abu, che il Mali l’ha lasciato perché non aveva altra scelta.
Con Lontano lontano Di Gregorio rimane fedele a se stesso narrando, come nelle precedenti pellicole che ha diretto (l’esordio, Pranzo di ferragosto, è del 2008), storie di quotidianità, in modo garbato ed elegante, con una dolcezza spiazzante. Si ride tanto guardando l’evolversi delle vicende dei nostri protagonisti, di una comicità aggraziata, intelligente, mai banale, che non ha bisogno di forzare le situazioni per divertire. E tra una risata e l’altra il film riesce anche ad emozionare, merito anche di una colonna sonora, curata da Ratchev & Carratello, che dà voce al silenzio, accompagnando lo spettatore nella narrazione, quasi come una voce fuori campo che rimarca alcune cose e ne lascia scorrere delle altre.
Maria Grazie Bosu– ecodelcinema.it