Arthur e César sono due uomini legati tra loro da una profonda amicizia di lunga data. In conseguenza di un grosso malinteso, che porta ognuno di loro a essere convinto che l’altro sia in fin di vita, decidono di recuperare tutto il tempo perduto e di trascorrere insieme i giorni che verranno. Un impianto teatrale e un vecchio canovaccio si trasformano in punti di forza se a riempire la scena sono due attori di razza del calibro di Luchini e Bruel, capaci di costruire situazioni di umanissima autenticità, in una danza recitativa che sembra non dover avere mai fine.
Le meilleur reste à venir
Francia 2019 (117′)
Judy Arthur e César sono due uomini legati tra loro da una profonda amicizia di lunga data. In conseguenza di un grosso malinteso, che porta ognuno di loro a essere convinto che l’altro sia in fin di vita, decidono di recuperare tutto il tempo perduto e di trascorrere insieme i giorni che verranno.
Un impianto teatrale e un vecchio canovaccio possono paradossalmente trasformarsi in punti di forza se a riempire la scena e l’esile trama in questione sono due attori di razza del calibro di Fabrice Luchini e Patrick Bruel. Tra i principali fautori del kammerspliel melan-comico contemporaneo d’oltralpe, Mathieu Delaporte e Alexandre de La Patellière, dopo la fortunata co-direzione di Cena tra amici – oggetto di remake dalle nostre parti con Il nome del figlio di Francesca Archibugi -, si cimentano ora con un classico del racconto cinematografico (e non solo): lo spauracchio di una morte precoce e il relativo desiderio di recuperare il tempo perduto. Fortunatamente, anche se l’ipotesi viene (intelligentemente) citata, i personaggi in questione non si dedicheranno al paracadutismo, desiderio “inconfessabile” tanto frequente al cinema quanto improbabile nella realtà e, anche se non faranno poi scelte così originali, di certo avranno l’occasione, nel corso della durata del film, di tirare fuori una cospicua dose di ruspante, umanissima, autenticità.
Ecco è forse proprio questo il segreto che spinge, gradualmente e inesorabilmente a lasciarsi catturare da un film come “Il meglio deve ancora venire”: quel tratteggio delicato delle varie sfumature dell’amicizia virile (e un po’ senile) tradotto nelle mille espressioni del volto e nella gestualità genuina dei due protagonisti, elementi vitalistici che in uno script ristagnante danno vita a una danza recitativa che potrebbe anche non avere mai fine.
Come nella più classica delle commedie, in Il meglio deve ancora venire tutto parte da un equivoco: in seguito a un incidente domestico, César (Bruel) viene condotto dall’amico Artur (Luchini) al pronto soccorso. Ma César, che a differenza di Artur è un tipo estroverso, un po’ donnaiolo e di certo assai casinista, non ha con sé la tessera sanitaria, per cui prende in prestito la sua. Il risultato della radiografia riporta un carcinoma in stato avanzato, ma il medico, che non sa del prestito di “identità” convoca Arthur, che viene così a scoprire che a César restano pochi mesi di vita. Naturalmente non riuscirà a comunicarlo all’amico, il quale da parte sua, vista la radiografia con su il nome dell’altro, si fa l’idea che sia lui ad essere malato. La coppia inizia dunque a stilare una lista di cose da fare prima dell’inevitabile, definitiva separazione. Andranno al Casinò a Biarriz, poi César dovrà riconciliarsi con il padre, Arthur con l’ex moglie, andranno anche allo zoo a molestare un elefante, si compreranno un tavolo da ping-pong, un cane, poi faranno amicizia con una bella terapista (Zineb Triki) che, sopravvissuta a un cancro al seno, gestisce un gruppo d’ascolto sulla malattia.
Non sono la trama né il suo svolgimento, come è piuttosto evidente da questa sinossi, il punto di forza di “Il meglio deve ancora venire”, che segue per la maggior parte della sua durata i binari ben oliati di un racconto standardizzato adagiato su un canovaccio usurato. Siamo distanti poi, nonostante i numerosi elementi narrativi in comune – amicizia virile, malattia mortale di uno dei due, cane – dal riuscito mix di commedia e dramma, condito di notevoli invenzioni narrative, di Truman di Cesc Gay (anch’esso oggetto di un recente rifacimento nostrano: Domani è un altro giorno di Simone Spada). Eppure ci si lascia trascinare da Luchini e Bruel e dai loro scoppiettanti duetti, molti dei quali probabilmente improvvisati, e tanti, a giudicare dalle sequenze a episodi montate con la musica, rimasti fuori dal montaggio definitivo del film. Nel complesso poi, in Il meglio deve ancora venire ci si commuove e si sorride con una certa malinconia certo, dato il tema della malattia, ma è impossibile trattenere le risate quando il film raggiunge il suo climax da buddy-movie, in quella sequenza al ristorante dove i due tubano come fidanzatini, vengono redarguiti da un cameriere e gli rispondono per le rime.
È evidente dunque che ciò che rende Il meglio deve ancora venire meno convincente è proprio il suo dover narrare – e dunque avere un setting, uno svolgimento e un epilogo – contro le cui strette maglie però si erge costantemente l’energia recitativa sismica proveniente da due epicentri, Luchini e Bruel, pronti a scardinare ogni rigidità, anche quelle irrinunciabili di un film che vuole sedurre, commuovere e, naturalmente incassare.
di Daria Pomponio, quinlan.it
Daria Pomponio – quinlan.it