Alice e Céline abitano in due case a schiera gemelle e sono legate da una grande amicizia, che le porta a condividere ogni cosa. Questa armonia perfetta si spezza il giorno in cui Alice assiste, impotente, alla morte accidentale di Maxime, il figlio di Céline: accecata dal dolore, Céline rimprovera ad Alice di non aver fatto il possibile per salvare suo figlio, ma accadono fatti inquietanti e Alice non sa più cosa credere. Un thriller che guarda tanto agli stilemi hitchockiani e alle tensioni sottese di Lynch quanto al cinema di Douglas Sirk. Fra villette con giardino e abitini bon-ton Masset-Depasse scoperchia le convenzioni borghesi utilizzando una rivalità tutta al femminile (magistrali le interpretazioni di Veerle Baetens e Anne Coesens).
Duelles
Francia/Belgio 2018 (97′)
David Lynch lo ha insegnato in modo impeccabile, specialmente con Velluto blu e Twin Peaks: dietro l’apparente tranquillità della provincia spesso si nascondono mondi oscuri e perturbanti. Una lezione imparata alla perfezione da Olivier Masset-Depasse, regista belga di ottima caratura che con Doppio sospetto ha costruito un noir a tinte forti. Dove il confine fra realtà e paranoia è in oscillazione costante. L’ispirazione? Il romanzo Alice di Barbara Abel: thriller psicologico su cosa succede alla mente di fronte a un incidente mortale.
Ambientato negli anni Sessanta, Doppio sospetto segue le vicende di Alice e Céline, madri di famiglia e molto amiche. Abitano in due casette a schiera gemelle e trascorrono molto tempo discorrendo sulle gioie e le piccole difficoltà della vita. Sono unite da un profondo affetto, e nulla sembra turbare la loro esistenza fatta di serenità e amore. Ma improvvisamente la routine viene stravolta da un immane tragedia: Maxime, figlio di Céline, muore accidentalmente mentre Alice assiste al dramma senza poterlo aiutare. Distrutta dalla perdita, Céline giura vendetta all’amica. Secondo lei rea di avere deliberatamente scelto di sottrarsi dal salvataggio.
Come dichiarato dal regista, il film è un omaggio ai thriller di Alfred Hitchcock. E la sua protagonista, Alice (la conturbante Veerle Baetens), è fondamentalmente una Betty Draper belga, con una casa e uno stile che evoca il tipico urban chic degli anni 50-60. Ma Alice non sfigurerebbe affatto anche nel catalogo delle bionde del maestro inglese del brivido: misteriosa, contraddittoria e assillata da una lieve paranoia. La partitura orchestrale rende anch’essa omaggio a Hitchcock, con i suoi archi ad alta tensione. Inoltre l’uso eloquente dell’architettura – le due famiglie vivono in case gemelle, quasi immagini speculari l’una dell’altra – aggiunge un altro livello di simbolismo al mistero (più psicologico che da classico whodunnit). Che lo spettatore è chiamato a risolvere.
«Questa villa ha un ruolo molto importante nel film e non è stato facile trovarla», ha dichiarato Olivier Masset-Depasse. «Poiché ha una leggera asimmetria architettonica che non si intuisce immediatamente ma che crea nello spettatore un senso di disagio e inquietudine». Ma è la cura scrupolosa per il dettaglio che rende il film assolutamente godibile, al netto dei brividi e dei salti sulla sedia che la trama garantisce. I colori che riempiono le inquadrature infatti – tonalità pastello che spaziano dal rosa confetto al verde acqua – sono importantissimi nel definire soprattutto la psicologia delle due protagoniste. Per non parlare degli arredi, finemente modellati e senza un granello di polvere, aderenti alla femminilità inebriante quasi fino alla nausea del film, come una stanza in cui è stato spruzzato troppo profumo. Insomma, qualcosa in questo quadretto idilliaco non torna, esattamente come in tutti i grandi thriller.
Cecilia Ermini – iodonna.it