Isabel, dirigente di un orfanotrofio di Calcutta, vola fino a New York per incontrare Theresa, una plurimilionaria e potenziale benefattrice. La donna la invita a trattenersi e festeggiare insieme le nozze di sua figlia, ma quando incontra il marito di Theresa, Isabel capisce di essere finita al centro di un gioco per nulla casuale: l’uomo è una sua vecchia fiamma e Isabel dovrà fare i conti con alcune scelte compiute diversi anni prima. Remake dell’omonimo lungometraggio danese del 2006 di Susanne Bier con una nuova prospettiva, al femminile, della vicenda. Ottime le prove Michelle Williams e Julianne Moore.
After the Wedding
USA 2019 (112′)
Isabel ha dedicato la gran parte della sua vita ai bambini di un orfanotrofio di Calcutta e da sette anni è diventata come una madre per il piccolo Jai, un ragazzino vulnerabile che si è profondamente legato a lei. L’offerta di una facoltosa società americana di finanziare l’orfanotrofio in bancarotta la costringe, però, a tornare a New York, dove non mette piede da più di vent’anni. Qui incontra Theresa, la magnate multimilionaria che ha chiesto di incontrarla, ma da subito appare evidente che la donna è meno interessata all’orfanotrofio che a conoscere meglio Isabel, tanto che la invita al matrimonio della figlia Grace. Da quel giorno, Isabel viene progressivamente a conoscenza di una serie di segreti passati e presenti, destinati a sconvolgere la sua vita e quella di tutti gli altri.
Bart Freundlich, regista poco prolifico ma sceneggiatore esperto di relazioni sentimentali e incomprensioni familiari, riscrive il dramma omonimo portato sullo schermo dalla regista danese Susanne Bier sostituendo la coppia di protagonisti maschili con quella al femminile composta da Michelle Williams e da Julianne Moore, sua moglie e interprete di quasi tutti i suoi film.
Il tema della maternità, biologica o sostitutiva, scelta o rifiutata, assume dunque un ruolo centrale ma solo in apparenza, perché cambiando di genere ai protagonisti della storia, il regista può in realtà raccontare la scelta di un uomo e il legame che ha instaurato con la figlia.
Dietro le vetrate vertiginose degli hotel e degli uffici high-tech della metropoli contemporanea, e dietro l’impegno dell’occidentale negli slums indiani, si consuma così un melodramma antico, o quanto meno eterno, che intreccia passato e futuro (“Dove si va? Dove andrò?” domanda il personaggio di Julianne Moore nella scena più drammatica), nascita e rinascita (il nido caduto, facile simbolo di morte, trova nuova vita nell’arte) e porta in superficie l’assurdità dell’esistenza, per cui non solo non possiamo controllare le nostre vite ma a volte le stesse sembrano scritte dalla penna barocca di uno sceneggiatore senza freni.
Forte di un perfetto cast artistico, Dopo il matrimonio è soprattutto un film di interpreti e, tra questi interpreti, la Moore e Crudup si collocano comodamente una spanna sopra gli altri. Non si troveranno, invece, particolari sottigliezze di regia e anzi, nel tentativo di restare minimale di fronte a tanta trama, ne va talvolta dell’emozione e alcuni passaggi appaiono inespressi. Ciò che il film inventa, in ogni caso, è sufficiente per aprire diversi fronti di dibattito, pubblico e privato..
Marianna Cappi – mymovies.it