Glauco, designer industriale, torna a casa dopo il lavoro in un’azienda avveniristica. In casa, la moglie è a letto per il mal di testa. In salotto c’è una cena fredda che lo attende, la butta nella spazzatura e si mette a cucinare. Poi trova una pistola… Ferreri denuncia la disumanizzazione consumistica di un mondo alla deriva, tra rituali di stampo feticista e ossessioni che preludono all’ansia di una libertà irraggiungibile e al collasso morale. Un’opera definitiva e disturbante, tra i capolavori del cinema italiano.
Italia 1969 (95’)
Quando ho letto della morte di Michel Piccoli ho frugato nella memoria alla ricerca del ricordo più antico. Forse potevo arrivare ancora più indietro, ma a Dillinger è morto, film di Marco Ferreri del 1969, mi sono fermato. Piccoli interpreta Glauco, un designer industriale che torna a casa dal lavoro. La moglie è a letto con il mal di testa e allora lui comincia a gironzolare per l’appartamento. Alla ricerca di un barattolo di spezie, quasi casualmente trova una vecchia pistola. La pulisce, la dipinge, comincia a flirtare con lei e poi decide di usarla. Il film è una divertente riflessione (alla Ferreri) sulle trappole del consumismo, l’alienazione e il desiderio di liberarsi, destinato probabilmente a rimanere inappagato.
Piccoli, con la sua eleganza quasi austera, venata però di ironia e follia, è perfetto per dare corpo alle idiosincrasie di Ferreri. Glauco si aggira per casa (un luogo in cui soprattutto chi ha più o meno l’età del film avrà la sensazione di essere già stato) come il protagonista di uno spot pubblicitario. Anzi sarebbe più corretto dire di un Carosello. A proposito di ironia, all’inizio del film Glauco assiste al test di una maschera antigas disegnata da lui e si sente un suo collaboratore parlare di isolamento, di un ambiente in cui “per sopravvivere è necessario portare una maschera”, cosa che “ricorda molto le condizioni di vita dell’uomo contemporaneo”…
Piero Zardo – internazionale.it