Cosa sarà

Francesco Bruni

Salvati, regista dalla carriera non certo promettente, separato e padre di due figli adolescenti, scopre di avere una forma di leucemia. La tragica rivelazione gli permetterà di cambiare il suo sguardo sul mondo. Un film “rischioso” nell’affrontare una tematica di sofferta riflessione, ma proprio per questo capace di toccare nel profondo: commovente, catartico e a tratti sarcastico.


Italia 2020 (101′)

    Pioggia e paura sul week-end degli italiani e la Festa del cinema di Roma aveva rischiato parecchio scegliendo per la proiezione di chiusura Cosa sarà, imperniato principalmente sulla lotta del protagonista contro una grave malattia che lo ha colpito a tradimento e per di più veristicamente rielaborato a partire dalla brutta esperienza vissuta proprio dallo sceneggiatore e regista Francesco Bruni, oggi fortunatamente fuoriuscito dal suo incubo. Alla fine, però, il direttore Monda e i selezionatori se la sono cavata perché, sia pure non risparmiando una serie di dettagli e situazioni tormentosi, il film non cede ai sovratoni melodrammatici, procede su toni rapsodici ma non funerei e ha quindi, deo gratias, regalato qualche incentivo di coraggio e di speranza ai convenuti della soirée e si spera ai futuri spettatori lockdown permettendo. Inoltre il calibro tutto sommato leggero dell’intera operazione risulta puntellato dalle prestazioni degli attori, alcune buone, altre ottime (Fotinì Peluso, Barbara Ronchi) e una decisamente fuori scala: Kim Rossi Stuart, in effetti, antidivo dalla personalità fiera, schiva e complessa, conferma una volta di più di non avere limiti di fascino, tecnica e cuore e di meritarsi sul serio gli aggettivi -formidabile, eccezionale- spesi da noi tutti cinefili con eccessiva condiscendenza per valutazioni di routine.

Attraverso l’incrociarsi di un po’ troppi flashback, Cosa sarà ricostruisce, dunque, lo shock dello scoprirsi fragili e indifesi e la necessità d’affrontare viacrucis fisiche, assegnando al frastornato Bruno Salvati (facile metafora di “Bruni salvato”) una serie di micro-accadimenti -dall’approccio col tronfio papà al ritorno nella natia Livorno, dal senso di minaccioso potere di controllo comunicato al paziente dalle macchine sanitarie al rapporto talvolta salvifico istituito da quest’ultimo con i medici e i paramedici, dalla riapertura del dialogo coi figli alle consuete stilettate contro i cinematografari grossolani- che potrebbero fare breccia nella sua condizione di uomo già in bilico, ma adesso consapevole di dovere vivere sul bordo di un precipizio.

In fondo, ripassando nella memoria l’andatura sommessa e qua e là appena shakerata del film, sembra quasi che s’intraveda in filigrana la figura più bella del film insieme a quella di Rossi Stuart e cioè quella del regista stesso, tanto sapido e pungente quando scriveva i film di Virzì quanto sobrio, intenso ma mai patetico o invadente nell’usare in questo caso le armi professionali di cui è provvisto come un esorcismo a 35mm contro gli agguati del destino.

valeriocaprara.it.it

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