Dopo trent’anni di politica, il sindaco di Lione si sente completamente svuotato. Per rimediare a questo problema, decide di affiancare al suo lavoro una giovane e brillante filosofa, Alice Heimann. Si forma così un dialogo, che avvicina Alice e il sindaco ma pone loro una domanda: il pensiero e la pratica politica sono compatibili? Un’elegante e malinconica commedia morale sulla necessità degli ideali per affrontare la complessità del mondo. Éric Rohmer è più che un riferimento…
Alice et le maire
Francia 2019 (105′)
L’occhio è stanco, la faccia floscia, la voce opaca. Il sindaco di Lione (meraviglioso Fabrice Luchini) non ha più tanta voglia di fare il sindaco, e si vede. La politica è il suo mondo, la sua passione, la sua missione (la politica, non il potere, sarebbe un altro film). Eppure le idee che una volta «venivano da sole» ormai latitano. Per tornare a pensare ci vuole un aiuto, ma un aiuto speciale. Ed ecco Alice (l’incantevole Anaïs Demoustier) con la sua grazia, il suo sguardo limpido, il suo modo di camminare come se non toccasse quasi terra. La camminata di una donna che ha fatto ottimi studi umanistici ma non ha ancora trovato il suo posto nel mondo. L’ideale per ripartire. Così il sindaco la nomina suo consigliere particolare. Ruolo troppo vago e privilegiato per non suscitare invidie e risentimenti.
Anche se il secondo film di Nicolas Pariser, nome da segnarsi, non cede mai al sarcasmo sulle retrovie del potere, che banalità, tantomeno alla caricatura in stile antipolitica. Al contrari, malgrado la sottile vena satirica la politica qui resta un mestiere, e ancor prima una vocazione, tutt’altro che spregevole. Tanto che Pariser non smette di allargare il campo e moltiplicare i comprimari. Senza “chiudere” nessuna storia però, per sospendere invece tutti nel limbo, ahi quanto contemporaneo, della disillusione e dello smarrimento. Il tutto senza mai perdere di vista la dimensione più intima di Alice e dello stesso sindaco, che come in un film di Rohmer, palesemente il maestro di Pariser, resta centrale. Gettando proprio per questo una luce nuova sul teatro logorato della politica e di ciò che in essa si gioca, sogni, ideali, destini, personali e collettivi. Sicché tra una riunione d’emergenza e una prima all’Opera, la tentazione di mollare tutto e quella, opposta, di candidarsi leader del Partito Socialista, più che la battaglia politica alla fine sono le ferite di ognuno a venire in primo piano. Con caratterizzazioni perfette e una finezza tutta francese. Capo gabinetto tiranniche, mecenati loquaci e vanesi, amici fedeli che forse sono amori mancati, un’artista che confonde catastrofe ecologica e crollo nervoso. Tutto – o quasi – concentrato in un’occhiata, un’alzata di spalle, un labbro increspato. Se ne esce turbati, ben più del previsto. A volte il non detto è l’arma più forte.
Fabio Ferzetti – L’espresso
Potrebbe essere lo spunto per una storia pruriginosa (il cinquantenne in crisi, la giovane in carriera) e invece il regista-sceneggiatore non perde di vista il suo obiettivo – riflettere sulla politica – e guida magnificamente il film dietro le quinte dell’attività comunale, tra gelosie, palloni gonfiati e umili collaboratori. Fino alla sua conclusione, dove la lettura politica si fa ancora più pregnante, con evidenti richiami alla crisi dei socialisti francesi. Naturalmente il film non sarebbe così riuscito senza la superba prova dei suoi protagonisti: Anaïs Demoustier è perfetta nell’incarnare la sorpresa di chi viene catapultata dentro un sistema di cui un po’ ha paura e Fabrice Luchini non sbaglia un’inflessione o un gesto nel costruire il suo politico innamorato della politica e impaurito dalla possibilità che ne resti deluso…
Paolo Merghetti – Io Donna