Ispirato alla storia vera di Forrest Tucker (Robert Redford), un uomo che ha trascorso la sua vita tra rapine in banca ed evasioni dal carcere. Da una temeraria fuga dalla prigione di San Quentin quando aveva già 70 anni, fino a una scatenata serie di rapine senza precedenti,”affiancato” dall’inflessibile investigatore John Hunt (Casey Affleck) e dall’amabile Jewel (Sissy Spacek), che lo ama nonostante la sua professione. Tra zoom, panoramiche con dolly e dissolvenze insolite il film evita gag citazioniste preferendo abbracciare un discorso sulla memoria e sul cinema, procedendo con l’adeguato ritmo ondeggiante della camminata del suo anziano protagonista..
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USA 2018 – 1h 33′
Rapinatore e gentiluomo. Il cappello da cowboy in testa, l’espressione scanzonata di Sundance Kid: Robert Redford nello spirito non è mai cambiato. A ottantadue anni mantiene il fascino del bravo ragazzo, anche quando svaligia una banca. In fondo è sempre l’agente segreto che cerca di salvare la pelle ne I tre giorni del Condor, l’ex campione di rodeo che scappa su un cavallo da un milione di dollari verso le montagne (Il cavaliere elettrico). Quelle stesse alture a cui ci aveva abituato in Corvo rosso non avrai il mio scalpo, dove da solo, nella neve, sfidava il mondo intero. Lui, che sul grande schermo è stato un campione anche nello sport (Il migliore). Non ha mai abbassato la testa davanti alle ingiustizie (Brubaker), ha vissuto l’America degli anni Trenta (Come eravamo), ha raccontato la gente comune anche dietro la macchina da presa. Ha attaccato frontalmente la Casa Bianca (Tutti gli uomini del presidente)… Mentre nel tempo libero faceva perdere la testa a Jane Fonda (A piedi nudi nel parco), duettava con Paul Newman (La stangata), e naturalmente sussurrava ai cavalli.
“Non mi basta guadagnarmi da vivere, io voglio vivere”, dice convinto nei panni di Forrest Tucker in The Old Man & The Gun. Qui presta il volto a un criminale che, anche di là con gli anni, continua a farsi un baffo della legge. L’adrenalina di ogni colpo gli fa dimenticare gli acciacchi, lo rende giovane. E insegue la felicità, come un eterno sognatore. Il carcere non lo ferma: è già evaso sedici volte. Ma anche quando minaccia le sue vittime, lo fa con il sorriso sulle labbro, cerca di rassicurare, non di incutere paura.
Come spiegava Cechov: “Se in palcoscenico compare una pistola, prima o poi bisogna che spari”. Quella di Redford invece non spara mai. Perché il suo Tucker rifiuta la violenza, e sembra un antieroe dal cuore buono. Impossibile non essere dalla sua parte.
Gian Luca Pisacane – cinematografo.it
…Non poteva esserci ruolo più adatto per segnare l’addio alle scene di Robert Redford, ma va detto anche che Lowery ha saputo rendere il suo film non solo un omaggio – sarebbe stato sin troppo facile – ma anche una riflessione se non prettamente teorica di certo assai cinefila sull’attore e la sua carriera… Forrest Tucker (Redford) è un rapinatore di banche sulla settantina che con gentilezza e smagliante sorriso sotto ai baffi finti, accumula bottini in giro per gli States. Durante una fuga dalla polizia pensa bene di fermarsi a soccorrere una signora con l’auto in panne, Jewel (Sissy Spacek), poi la seduce con una chiacchierata in un diner, una scena che pur non avendo nulla di notabile, a parte i volti, i corpi e le voci dei suoi attori, trascina inesorabilmente nel loro mondo, qualunque esso sia. Tra l’altro, all’interno della sequenza fa capolino un omaggio alla frammentazione spazio-temporale di The Getaway di Sam Peckinpah, per cui sentimentalismo tout court e sentimentalismo cinefilo sono entrambi appagati. A fare da contraltare al nostro antieroe (figura che di fatto latita ultimamente dallo schermo) troviamo poi un detective depresso e disilluso (incarnato da Casey Affleck, attore feticcio per Lowery) che si destreggia tra l’indagine e il nucleo familiare, costantemente aggiornato – bambini compresi – sui suoi scarsi progressi lavorativi. Di contro, la famiglia di Tucker è decisamente più spassosa e comprende due soci del calibro di Danny Glover e Tom Waits. Impreziosito di dialoghi brillanti pieni di humour, girato in un avvolgente 16mm e condito di zoom, panoramiche con dolly e dissolvenze insolite, The Old Man & The Gun evita l’esibizione di gag citazioniste preferendo abbracciare un discorso sulla memoria e sul cinema, procedendo sicuro per la sua strada, ma con l’adeguato ritmo ondeggiante della camminata del suo anziano protagonista, con la sua grazia e il suo portato di ricordi, personali e collettivi. Sospeso tra il sentimentalismo del classico “film per mature signore” e l’omaggio colto al cinema del passato, il film di Lowery eccede forse nei suoi exploit musicali – la colonna sonora à la Lalo Schifrin composta da Daniel Hart non lascia un attimo di tregua – ma in fin dei conti riesce a raggiungere un miracoloso equilibrio che lo allontana dal rischio del patinato e dello strumentale. Perché se è vero che Lowery gioca con la memoria dei nostalgici è altrettanto vero quanto riesca a costruire dei personaggi verosimili, dimostrando inoltre una notevole inventiva nel posizionarli in situazioni quotidiane che però riescono sempre a tenere desta l’attenzione, fino a far credere all’esistenza, sul set, di momenti di reale improvvisazione attoriale. Oltre al senso della misura e all’accortezza che gli consente di lasciare sempre spazio ai suoi interpreti, Lowery dimostra poi di avere idee numerose e assai brillanti, che raggiungono l’apice in quella sequenza a episodi delle evasioni di Tucker, all’interno della quale il regista inserisce foto d’epoca di Redford e un suo primo piano contenuto in La caccia di Arthur Penn. Distante dunque da un citazionismo gratuito, The Old Man & The Gun è un film “romantico” che esprime costantemente il suo amore per il suo protagonista e per la relativa filmografia, raggiungendo una forma di cinefilia toccante e appagante che ci blandisce e ci rassicura. Perché finché avrà un passato da rispolverare e rimpiangere, il cinema non sarà mai del tutto finito…
Daria Pomponio – quinlain.it