La storia di The Deep è quella – realmente accaduta, e molto nota in Islanda – di un pescatore che, dopo il naufragio del suo peschereccio a molte miglia di distanza dalla costa, e dopo la morte dei suoi amici, è riuscito inspiegabilmente a sopravvivere nelle acque gelide dell’Oceano (di poco superiori allo zero termico), e a nuotare fino alla riva, salvandosi la vita e diventando oggetto di stupore e di studio. Per raccontarla, Kormákur sceglie un approccio molto classico e lineare, con uno Lo sguardo fluido, essenziale, magnetico perché privo di fronzoli inutili e anti-spettacolare.
Islanda 2012 (95′)
Sull’isola di Heimaey, al largo delle coste islandesi, Gulli e compagni alzano il gomito e aspettano domani per prendere il mare. Pescatori senza fortuna gettano le reti ma pescano rocce. Incagliate in profondità, le reti bloccano l’argano e rovesciano il peschereccio. Le acque gelide dell’Atlantico non lasciano scampo ai pescatori che muoiono uno dopo l’altro. Solo Gulli sembra miracolosamente resistere al freddo dell’oceano. Deciso a restare vivo, nuota fino alla costa che raggiunge sei ore dopo, diventando un eroe nazionale e un fenomeno scientifico (e mediatico) ancora senza spiegazione.
È uno dei superpoteri del cinema, attestato nel 1896 dalla fuga degli spettatori davanti a L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat. Di quel superpotere, quello di ‘gelare il sangue’, i film di Baltasar Kormákur sono in qualche modo gli epigoni. Era già successo nel 2015 con Everest, cronaca tragica della spedizione del 1996, accade di nuovo con The Deep, cronaca di un naufragio prodigioso.
Per chi ha sognato un giorno di raggiungere le nevi perenni o di provare il brivido di un tuffo in acque gelate, la filmografia dell’autore islandese rappresenta un surrogato ideale e sicuro per una scalata o per un’immersione. In verticale o in orizzontale la vertigine nel suo cinema è decisamente fisica.
Girato nel 2012, prima di Everest (2015), ma arrivato sui nostri schermi sette anni dopo, The Deep scarta come il suo doppio la filosofia e si concentra sulla sopravvivenza del suo eroe. Pescatore o giuda alpina, il regista si appassiona agli uomini che si ingegnano e battono fino alla fine per sopravvivere senza interrogarsi troppo sulle ragioni per cui continuano a lottare. Ancora una volta Kormákur bypassa lo stordimento metafisico di fronte all’immensità e all’indifferenza della natura. A dispetto dei suoi titoli, dell’altitudine dell’uno e della profondità dell’altro, Everest e The Deep non raggiungono quei livelli in fatto di immaginazione. Il regista priva le rispettive narrazioni della dimensione poetica a cui potevano aspirare, privilegiando l’azione, i passaggi, i gesti, le intuizioni o gli azzardi che separano i suoi protagonisti dal campo base o dalla riva. Ma se la scalata all’Everest, passato dallo statuto di terra inesplorata a quello di destinazione turistica, ‘uccide’ gli incoscienti avventori, l’Atlantico, terreno di caccia e sostentamento per la gente che vive lungo le sue coste, inghiotte quello può e restituisce un eroe (stra)ordinario, ancorato a un quotidiano più crudo e banale. Un quotidiano dove bisogna lottare anche sulla terraferma per stare a galla.
Più sociale di Everest, con la sua cordata di star hollywoodiane che puntano alla vetta, The Deep affonda nella realtà islandese e si aggrappa al corpo massiccio e autoctono di Ólafur Darri Ólafsson (…) Ed è alla lezione di coraggio e di stoicismo del suo pescatore che lo spettatore è sensibile, ma forse più ancora alla performance dell’attore che la rende così sensibile. Nell’ascensione di Everest è il piacere verticale a vincere sulla ragione, nella traversata di The Deep è la ragione al contrario a vegliare, a restare lucida fino alla costa e alla salvezza.
Contrario a qualsiasi panteismo, il film si àncora come il suo protagonista all’ordinario. Non c’è dio al di sopra di Gulli, solo un gabbiano in cui trova, come Tom Hanks con Wilson (Cast Away), un compagno improbabile per sconfiggere la disperazione. In pieno mare e dentro una notte senza stelle, il regista emerge delle immagini-archivio che incoraggiano il suo eroe, già vittima di un’eruzione vulcanica, confrontando fuoco e ghiaccio e conferendo al film uno slancio mitologico.
Ispirato alla storia vera di Guðlaugur Friðþórsson, timoniere di ventidue anni sopravvissuto nel 1984 all’abbraccio freddo dell’Atlantico, The Deep è il movimento ostinato e contrario di uomo che ha sfidato le leggi di natura, raggiunto la riva e dimostrato (forse) che l’ambiente fa l’uomo. Regista hollywoodiano (Una tragica scelta, Contraband, Cani sciolti) col piglio europeo, Baltasar Kormákur ricostruisce senza ridondanza la prodigiosa performance di un pescatore. Il suo sopravvissuto si dimostra imperturbabile prima, dopo e davanti a una comunità che guarda alla sua sopravvivenza come a una specie di eresia. Ed è a questo punto (purtroppo) che il film si interrompe, piazzando la posta sul terreno sociale, abbandonando le piste supplementari e sfiorando il cuore del suo soggetto: la psicologia del suo personaggio. E che personaggio, fragile e tenace, sopraffatto e irriducibile, vittima e padrone degli eventi. L’effetto è un poco straniante. Miracolo o forse no, è comunque questo il finale che la natura e il cinema di Baltasar Kormákur concedono a Gulli.
Marzia Gandolfi – mymovies.it