Un ragazzo di agiata famiglia ma di idee rivoluzionarie decide di abbandonare il mondo in cui ha sempre vissuto e con esso la sua fidanzata. Dopo una breve relazione con una giovane zia e un periodo di profondo sconvolgimento ideologico complicato dal suicidio di un amico, si arrende e torna in seno alla famiglia.Il secondo lungometraggio di Bertolucci è un prodotto dal forte respiro politico, un’opera già potentissima e rivoluzionaria.
Italia 1964 – 1h 40′
Secondo film di Bertolucci e liberissimo adattamento da La certosa di Parma di Stendhal. Tra ricordi personali, citazioni cinefile (celeberrima la frase «Non si può mica vivere senza Rossellini», pronunciata dal co-sceneggiatore e interprete Gianni Amico), suggestioni musicali (la lunga sequenza al Teatro Regio accompagnata dalle note del Macbeth di Verdi) e utopie rivoluzionarie, il regista, all’epoca poco più che ventenne, racconta con passione, delicatezza e partecipazione la dissoluzione di un mondo borghese e provinciale, oltre che le smanie sentimentali e ideologiche di un giovane, emblema di una generazione che rivendica il proprio posto nel mondo, cercando di superare il proprio smarrimento identitario. Un’opera malinconica e amara, dolce e pessimista, un romanzo di formazione consapevole dei limiti dell’epica rivoluzionaria, dei conflitti insanabili tra le illusioni politiche, le ragioni del cuore e gli inevitabili compromessi dell’età adulta. Al netto di qualche didascalismo ideologico, un film struggente e sorprendente per la maturità della messa in scena, impreziosita da un’estetica che guarda allo sperimentalismo europeo senza essere eccessivamente derivativa. Colonna sonora di Ennio Morricone con canzoni di Gino Paoli. Il critico cinematografico Morando Morandini è qui al suo esordio come attore.
longtake.it
Al suo secondo film da regista, Bertolucci abbandona il popolo di La commare secca per scardinare il ceto borghese, cosa che sarà in seguito un suo marchio di fabbrica, e inizia ad esplorare la gioventù che negli anni ’60 aveva voglia di evadere e crescere in fretta per accaparrarsi un posto nel mondo e le sue nevrosi, dai giovani sessantottini di The Dreamers al tossico di La luna, fino ai gesti estremi dei protagonisti di Ultimo tango a Parigi. Prima della rivoluzione è un racconto di formazione che mescola passione ad ideologia, politica e artistica, con una regia lirica che punta sulla potenza visiva. Anche se il film è molto parlato sono le immagini a durare nel tempo, realizzate con un bianco e nero che esalta i corpi (il magnifico volto di Adriana Asti ne è un esempio) e rivela i paesaggi grigi della Romagna. Ma Prima della rivoluzione è soprattutto un film sul tempo, quello immutabile di Fabrizio e la sua condizione di borghese “costretto a vivere sempre prima della rivoluzione” antitesi di quello del resto del mondo pronto alle trasformazioni. Fabrizio vorrebbe crescere insieme ai suoi coetanei, ma è consapevole che sarà difficile per lui fare quel salto verso il cambiamento, incarnato dalla storia con l’infelice zia Gina, che a sua volta è già consapevole di aver perso tempo e che non vuole amare Fabrizio per non condannarlo ad un futuro che sa di passato. Un racconto drammatico che ricorda i sentimenti che escono anche dal quasi contemporaneo I basilischi della Wertmuller dove l’immutabilità del tempo è ancora più marcata e i suoi protagonisti sono ancora più impotenti verso di essa. Assistere rassegnati al cambiamento, ma sentirsi sempre pronti a scappare e a vivere la rivoluzione, come ancora oggi ci insegna Bertolucci dalla sua “sedia elettrica”. Prima della rivoluzione rappresenta un esempio di quel cinema giovane che nei primi anni ’60 anticipò in qualche modo le tematiche del ’68 insieme a I pugni in tasca di Bellocchio, un tempo passato ma ancora attuale.
Andrea Moschioni Fioretti – mediacritica.it
Quel che si deve rimproverare a Bertolucci è l’eccesso di letterarietà, non tanto nelle frasi preziose e tornite che egli fa dire allo speaker fuori campo a collegare le sequenze, quanto nella determinazione costante di un punto di vista ‘originale’ nell’inquadratura, nell’uso, insomma, d’una immagine sempre sopra le righe, che vorrebbe essere poetica e rischia spesso d’essere solo artificiosa. (…) Ma sono mende perdonabili in virtù della sincerità e quindi della freschezza che animano l’opera.
Ernesto G. Laura – Bianco e Nero