Isaac (Woody Allen), scrittore televisivo fresco di divorzio, mentre frequenta la diciassettenne Tracy (Mariel Hemingway) si innamora dell’eccentrica Mary (Diane Keaton): insicurezze amorose, ripensamenti e delusioni… Il senso precario di una vita sentimentale e di un’esistenza “matura” a cui fa da cornice (e da co-protagonista) il quartiere più “in” della metropoli newyorkese. L’opera imprescindibile di Allen, è infatti un atto d’amore per la sua città, immerso in un clima nostalgico e sognante. Così Manhattan si configura come un’ovattata rapsodia (in bianco e nero) sull’impalpabile imprevedibilità delle relazioni sentimentali, coniugate tra ironia, romanticismo e dissertazioni intellettuali. E il prologo, accompagnato dalle musiche di Gershwin e dalla voce fuori campo di Allen, costituisce una meravigliosa ouverture, uno degli incipit più celebri nella storia del cinema, una dedica immortale a quella città “mitizzata smisuratamente” ma perfetta “metafora della decadenza della cultura contemporanea”. (e.l.)
USA 1979 (96′)
La maestria di Allen si basa, come sempre, sul dialogo. Non solo per il suo significato, la sua aderenza ad un certo modo di vivere americano, ma per il suo ritmo, la sua struttura. In Manhattan è come un blocco compatto, una rete intrecciata e incessantemente ripresa che assicura la continuità dell’opera. Su questo linguaggio (monologhi, dialoghi, musiche) continuo, mutano invece le immagini. New York ripresa con sensibilità, gli attori diretti con consumata perizia, quasi con complicità (e Diane Keaton, la giovane Hemingway, Murphy e tutti gli altri sono perfetti). Non c’è un istante di rilassamento nella costruzione di questo spaccato di vita contemporanea, tutto nasce con una tale naturalezza e felicità da far apparire, ai meno attenti, facile noncuranza quella che in effetti è non facile ricerca della verità. Genio e sregolatezza, di strabiliante fecondità nel bene e nel male; questo era, finora, Woody Allen. Da Manhattan in poi tutto diventerà ancor più difficile, per lui. Poiché dell’uomo non gli chiederemo più soltanto l’esilarante caricatura, ma il ritratto.
Fabio Fumagalli – filmselezione.it