La notizia è che qualcuno, in Sardegna, è diventato proprietario della Luna. Per gli americani, i primi a metterci piede e a piantarci la bandiera nazionale, la cosa è inaccettabile. Una coppia di agenti segreti italiani, per risolvere il caso, recluta dunque un soldato che, dietro il falso nome di Kevin Pirelli e un marcato accento milanese, nasconde la propria identità sarda: si chiama Gavino Zoccheddu e per ritrasformarlo in un vero sardo viene ingaggiato un formatore culturale sui generis…
Italia/Albania/Argentina 2018 – 1h 42′
Due stravaganti agenti segreti italiani ricevono una soffiata dagli Stati Uniti: pare che qualcuno, in Sardegna, sia diventato proprietario della Luna. I due reclutano dunque un giovane soldato che, dietro il falso nome di Kevin Pirelli e un marcato accento milanese, nasconde la propria identità: si chiama infatti Gavino Zoccheddu e la Sardegna ce l’ha nel sangue, anche se l’ha ripudiata. Per riaccostarlo alle tradizioni locali, infiltrarlo sull’isola e fare luce sul mistero, viene ingaggiato un formatore culturale assai particolare. A quel punto, ritrovate le proprie radici e “arruolata sul campo” con tutti i crismi, la spia è pronta per risolvere il caso…
Presentato alla Festa del cinema di Roma lo scorso anno, il secondo lungometraggio di Paolo Zucca dopo il brillante esordio nel 2013 con L’arbitro, è una commedia surreale. O per meglio dire, visto l’argomento, stralunata. Un “viaggio picaresco verso la scoperta e la riappropriazione di una cultura, di una storia e di un sistema di valori altri”, come sottolinea lo stesso Zucca nelle note di regia. Valori che, pur radicati nel tessuto endemico sardo, riescono ad uscire dai confini del regionalismo, arrivando al pubblico dell’intero Paese, grazie ad uno sguardo “sbilenco” sulla realtà divertito e divertente, a suo modo temerario e fintamente incosciente.
Facendo leva su situazioni grottesche e non-sense, centrifugando generi e reminiscenze (slapstick comedy, spy story, western e cinecomics), alternando asini e motocarri, partite a calciobalilla e tavolate colme di pesce, asprezze paesaggistiche e permalosità caratteriali, L’uomo che comprò la Luna, incuneandosi tra le pieghe del diritto internazionale in materia di spazio e corpi celesti, smuove linearità narrative e tritura coerenze drammaturgiche, appropriandosi però di un fresco soffio vitale, in termini di libertà di racconto, che alla lunga convince pur rischiando di adagiarsi a più riprese nell’autoreferenzialità etnica. Fresi e Pannofino (una coppia quasi alla Stanlio e Ollio) assicurano brio e “peso” ai dialoghi, Jacopo Cullin e Benito Urgu duettano in dialetto con il giusto “pepe”, Lazar Ristovski e Angela Molina offrono le sfumature più poetiche alla vicenda, aperta e chiusa con uno sbarco sulla Luna riadattato agli usi e costumi del luogo, con tanto di cambio di bandiera posata sulla superficie lunare (in realtà la bianchissima distesa di roccia calcarea, piena di piccoli crateri, della costa occidentale sarda). Risultato: un anarchico, disomogeneo, fiabesco inno alla memoria, custode dei piccoli/grandi valori dell’esistenza.
Paolo Perrone – saledellacomunita.it