Olivier, impiegato in un magazzino, dedica tutto se stesso alla lotta contro le ingiustizie al fianco dei propri compagni di lavoro. Quando, da un giorno all’altro, sua moglie Laura lo abbandona, Oliver dovrà imparare a trovare un nuovo equilibrio tra i bisogni dei figli, le sfide della vita quotidiana e il suo lavoro. Un bellissimo ritratto di un uomo qualunque che vive a proprie spese le profezie di Marx e Chaplin dei tempi moderni: un cinema classico, intimo e allo stesso tempo universale.
Nos batailles
Belgio/Francia 2018 – 1h 38′
Un giovane padre si ritrova da solo a gestire figli e lavoro, dopo che la moglie improvvisamente sparisce nel nulla. Niente di più semplice e contemporaneamente complesso perché dentro c’è la vita e tutta la speranza che essa possa migliorare. Al suo secondo lungometraggio dopo l’ammirevole Keeper (2015), il belga Senez torna a indagare il binomio di pubblico e privato esemplificandolo nel mondo del lavoro e quello dei legami famigliari. Entrambe le pesanti tematiche – tenute parallelamente in mano con salda competenza – riempiono il film senza mai privarlo di un tono lieve, e questa è una cifra autoriale di non poco conto. Con un racconto sul tempo che passa (bello il suo modo di gestirlo cinematograficamente) e i suoi effetti sui personaggi, Senez riesce a mostrarsi personale seppur dentro a un cinema classico, intimo e allo stesso tempo universale.
Anna Maria Pasetti – Il fatto quotidiano
Debutta la nuova economia, quella dei nuovi tempi moderni: l’imminente Valzer tra gli scaffali racconta i lunghi corridoi di un ipermercato tedesco che sembra la Metro, mentre il magazziniere di Le nostre battaglie lavora in grandi store di e-commerce che somigliano ad Amazon. Nel seducente, toccante film di Guillaume Senez c’è un operaio che vive una crisi di lavoro (licenziamento di un collega, proposta di salto di carriera) proprio mentre la moglie lo abbandona senza un perché lasciando nella cuccia coniugale due piccini bisognosi di affetto.
Scompare metafisica come la Massari in L’avventura di Antonioni, senza dar ragioni ma forse è proprio un modello di vita che non calza più, quindi il lavoro, il tempo, le battaglie dentro e fuori casa, tutto quello che a valanga si ripercuote sul bilancio affettivo che non ha orari né protezione sindacale. La bellezza inespressa del film sta proprio nel non mettere nulla tra virgolette, ognuno la pensi come vuole, ma il regista getta un sasso nello stagno, lasciando che la storia continui, che pubblico e privato giochino il loro match fino al bellissimo finale.
La fortuna è che Romain Duris è un attore di rara sensibilità, che non conosce la retorica; che i due bambini siano di sconcertante verità e che Laetitia Dosch, sorella tata a tempo perso, faccia una luminosa comparsata in questo ménage di ordinaria amministrazione che nasconde la gemma misteriosa dello straordinario.
Maurizio Porro – Il corriere della sera