Un ispettore di polizia rumeno, corrotto da trafficanti di droga, è sospettato dai suoi superiori e messo sotto sorveglianza. Costretto da una femme fatale ad imbarcarsi per l’isola de La Gomera nelle Canarie, deve imparare nel minor tempo possibile il Silbo, una ancestrale lingua fischiata. Grazie a questo linguaggio segreto potrà liberare in Romania un mafioso che si trova in prigione e recuperare i milioni di euro nascosti. Ma non tutto è così semplice… La conferma di uno dei talentuosi registi del sempre sorprendente cinema rumeno che qui si inoltra nel noir, tra ilarità e paradossi.
The Whistlers
Romania/Francia/Germania 2019 (124′)
TORINO 37°
TORINO – Nell’isola de La Gomera, nell’arcipelago delle Canarie esiste un linguaggio particolare, tutto fischiato, il Silbo, tradizionalmente usato dai pastori per comunicare tra loro anche a grandissime distanze.
Parumboiu dichiara di aver scoperto l’esistenza del Silbo gomero da un documentario televisivo e di aver cominciato da lì ad immaginare una storia proprio a partire da quei fischi: un affare di malavita, di traffici di droga, di poliziotti corrotti, di boss senza scrupoli e meravigliose donne fatali. In poche parole un noir, richiamato in causa già dal nome Gilda della bellissima protagonista (Catrinel Marlon) e dalla struttura a flash back del racconto.
Di fatto il regista rumeno costruisce un racconto di genere, che funziona alla perfezione anche come puro “intrattenimento, ma che si accompagna a una raffinata e ramificata riflessione teorica sui codici del linguaggio. La costruzione narrativa, andando avanti e indietro nel tempo e concentrandosi di volta in volta su un personaggio diverso, a cui è dedicato ciascun capitolo in cui si divide il film, richiede allo spettatore uno sforzo di ricomposizione attraverso frammenti tra loro solo in apparenza inconciliabili, inoltre il ricorso a tutti gli stratagemmi possibili (specchi, finestre che incorniciano i personaggi, videocamere di sorveglianza) non fa che porre l’accento sul meccanismo della visione.
In realtà ogni elemento del film serve a sottolineare l’importanza dell’utiliizzo dei codici del linguaggio: dalla colonna sonora alle numerose citazioni cinematografiche. La musica funziona come una specie di sottotraccia, di contronarrazione, dall’incipit con il rock rampante di Passenger di Iggy Pop, ai brani d’opera dall’Orfeo all’inferno di Offenbach alla Casta diva della Norma, sino al finale con La marcia di Radetzsky di Strauss. Lo stesso fischio è uno strumento linguistico utilizzato da tempi lontani nello sperduto isolotto atlantico, ma non è poi così diverso da quello di cui si servivano le tribù native del Nord America, come appare nella sequenza di Sentieri selvaggi, che Cristi (Augusti Villaronga), il poliziotto corrotto guarda alla cineteca di Bucarest.
Segni, indizi, che il regista dissemina nella narrazione, quasi per liberare le immagini dai sentieri già tracciati, dalle griglie delle strutture, dei codici, senza per questo dimenticare l’urgenza dell’intrattenimento. Scoprire, deformare, ricomporre, reinventare: è questo che Paromboiu fa nei suoi film (A est di Bucarest, Police, Adjective e The Treasure), il suo è un cinema di rottura e nello stesso tempo di riflessione nei confronti della tradizione. La Gomera, già presentato a Cannes, è una testimonianza della vitalità della scena rumena e del ruolo di primaria importanza svolto da Paramboiu.
Cristina Mengolli – MCmagazine 53