François Foucault insegna nel più prestigioso liceo della Parigi bene. Per farsi bello con una funzionaria ministeriale, si lancia in dichiarazioni di principio che lo precipitano suo malgrado direttamente nella più disagiata scuola delle banlieue. Una realtà che tenta di dominare con i suoi metodi completamente inadeguati e fallimentari. Finché non capisce che, attraverso l’empatia e la comprensione, deve rovesciare il suo approccio… Un film di sorprendente sincerità, quasi una “camera di sorveglianza” sulle nuove generazioni e le nuove comunità sociali della Francia per comprendere vizi e virtù degli adulti che li hanno generati ed educati.
Les grands esprits
Francia 2017 – 1h 46′
Meglio far valere la forza dell’autorità o puntare sulla complicità e il dialogo? Un bel dilemma quando si tratta di gestire orde di adolescenti delle banlieu, multi-colore, cultura e lingua, eppure tutti figli della grande Francia. Il professor François Foucault ne sa qualcosa: figlio irrigidito di padre intellettuale brillante, insegna lettere al miglior liceo di Parigi ma viene spostato per un anno nella profonda periferia per assecondare un progetto “educativo” ministeriale. D’altra parte non è buona cosa mettersi di traverso alle istituzioni quando sono loro a chiedere favori. Così è che l’occhialuto docente, single e assai problematico, trasloca professionalmente dagli agi della posh parisienne ai decrepiti panorami edili ed umani della suburra, ai suoi occhi selvaggi e bifolchi.
Romanzo di formazione più per docenti che non per discenti, Il professore cambia scuola (in originale Les grands esprits) di Olivier Ayache-Vidal naviga sicuro sulla scia creata dalla tradizione francese del cinema “fra i banchi”, erede a sua volta di quello sguardo naturalista e altamente verbalizzato che tanto ha insegnato al mondo in termini di rappresentazioni dei grandi incontri/scontri umani. Fiumi di parole scorrono fra ragazzi e i loro prof. e la macchina da presa non si stanca di stare in mezzo a loro, quasi confondendosi fra zaini e quaderni con l’intento di capirli sempre meglio: una camera di sorveglianza sulle nuove generazioni e le “nuove comunità sociali” del Paese per comprendere vizi e virtù degli adulti che li hanno generati ed educati.
Il modello ispiratore rimanda ai film di Laurent Cantet (La classe– Entre les murs, 2008, su tutti) ma anche di Abdellatif Kechiche (Tutta colpa di Voltaire, 2000 ma anche La schivata, 2003 fino a Mektoub, My Love: canto uno, 2017) e di Celine Sciamma (Tomboy, 2011 e Diamante nero, 2014): fra il documentario e la finzione, opere tenute insieme da una narrazione sublime, instancabile, atta a mostrarci chi sono loro (i ragazzi) e chi siamo noi (gli adulti) e cosa può uscire dai relativi scontri ed incontri. In tale contesto la storia del prof François (interpretato da un perfetto Denis Podalydès) è un emblematico viaggio centrifugo alla scoperta di cosa c’è là fuori, lontano dall’ancient regime e più vicino alle vibrazioni sociali contemporanee. E la bella sorpresa è che la barbarie dell’hic sunt leones è mutata in vitalità assoluta, in energia contagiosa capace di trasformarsi e trasformare in moto perpetuo. È chiaro che il Bildungsroman funzioni soprattutto per il professore che – una volta evoluto in essere umano – potrà agire maieuticamente sui suoi nuovi studenti.
Anna Maria Pasetti – ilfattoquotidiano.it
François Foucault è professore di lettere al prestigioso liceo Henri IV di Parigi. Durante una serata, l’uomo si lamenta con una funzionaria dell’Educazione nazionale dei problemi delle scuole di periferia dove bisognerebbe inviare dei professori più competenti. Il messaggio viene recepito e François si ritrova a dover accettare, per la durata di un anno, il trasferimento in un liceo di periferia da cui si aspetta il peggio. Il professor Foucault dovrà allora confrontarsi con i limiti del sistema educativo e mettere in discussione i suoi principi e i suoi pregiudizi.
Olivier Ayache-Vidal firma il suo primo lungometraggio che risulta una toccante commedia drammatica sulla scuola pubblica, l’insegnamento e i problemi delle periferie. Les grands esprits è un film di finzione per cui il regista si è talmente documentato da sfiorare il documentario. Per due anni Ayache-Vidal, infatti, si è immerso nella vita del liceo Barbara de Stains, nella periferia parigina, osservando la comunità turbolenta ma piena di vita, ben distante dal mondo suburbano infernale dell’immaginario collettivo. Ricordando così l’ottimismo e la speranza di Les Heritiers (2014) di Marie Castille Mention-Schaar e la tenacia ammirevole che anima Entre les murs (2008) di Laurent Cantet, Les Grands Esprits riprende il filone di un cinema sociale riconciliatore che si insinua tra i banchi di scuola alla ricerca di risposte alla mancanza di integrazione, ambizione e cultura di quei giovani che crescono lontano dalla tour Eiffel. L’autenticità, dunque, sembra la vera preoccupazione del regista che, perciò, ha voluto dei volti nuovi come insegnanti e i veri ragazzi del liceo Barbara come alunni.
Nel confronto, nello scambio, nel vero incontro tra insegnanti e studenti risiede il nocciolo del film che si sviluppa seguendo l’evoluzione del rapporto tra il professor Foucault, interpretato dal brillante Denis Podalydès della Comédie Française, e il sorprendente Seydou, un vero alunno della scuola dal nome di Abdoulaye Diallo. Figlio di un uomo di lettere conosciuto e apprezzato, l’esigente professore di uno dei migliori licei parigini che si diverte a umiliare i suoi studenti sarà costretto, dunque, a rivedere il modo di insegnare i suoi classici, lasciando emergere un’umanità inaspettata nei confronti di giovani problematici che nessuno sa come prendere. Messo da parte il controproducente rigore, Foucault cerca dei metodi alternativi per parlare di Victor Hugo, riuscendo infine a coinvolgere anche il più ribelle come Seydou, che rivelerà un’intelligenza che nessuno prima era riuscito ad apprezzare.
Ayache-Vidal dunque si interroga sulle contraddittorietà e le assurdità del sistema pubblico, sulla cecità dei professori che preferiscono liquidare i propri alunni come svantaggiati piuttosto che vedere la propria incompetenza, sulla complessità ma anche l’emozione di riuscire a far leggere “Les Misérables” a chi non ne ha mai sentito parlare. Nonostante una narrazione prevedibile, il regista riesce nel proposito sincero di ridare speranza all’educazione in quello che è in fondo il ritratto di un professore eroico. Oltre la riflessione sull’importanza della scuola o la denuncia delle problematiche delle banlieues, Olivier Ayache-Vidal racconta la grandezza di un professore nell’offrire ai suoi studenti un avvenire lontano dall’ignoranza a cui il contesto sociale li avrebbe destinati.
Francesca Ferri – mymovies.it