Green Book

Peter Farrelly

Anni ’60. Tony Lip, un tempo rinomato buttafuori di New York, finisce a fare l’autista di Don Shirley, giovane pianista prodigio afro-americano. Il lungo tour nel profondo Sud (razzista) degli Stati Uniti cementerà tra i due una forte, inaspettata, amicizia. Sospeso tra road-movie e commedia edificante alla Frank Capra, Green Book ha il respiro del cinema classico e il tono scanzonato della modernità. Ben tre oscar tra cui quello come miglior film!


USA 2018 (130′)
3 OSCAR: film, attore non protagonista, sceneggiatura originale

  Assieme al fratello Bobby, Peter Farrelly ha segnato a modo suo la commedia americana alla fine degli anni Novanta; dissacrante, provocatoria, pure scatologica, politicamente scorretta. Certo, una filmografia debitrice, a partire dal 1998 di Tutti pazzi per Mary, della presenza di una deliziosa Cameron Diaz. Seguirà, nel 2000, Io, Me & Irene, trasgressione un po’ meno goliardica, giudicata da molti salutare, oltre che eventualmente divertente, e destinata ad una società dal dilagante igienismo fisico e morale. Con un Jim Carrey che riusciva a fare convivere all’interno di sé due personaggi contrastanti, scivolando con facilità strabiliante dal trionfo del bene a quello del male. In Green Book senza il fratello Bobby, Peter Farrelly pare rinsavito. Conserva di certo una bella disinvoltura nella direzione d’attori, a cominciare da un Viggo Mortensen ingrassato di venti chili, a contro impiego tragicomico rispetto ai suoi capolavori violenti con David Cronenberg. E Mahershala Ali, l’attore dell’ottima serie televisiva House of Cards affermatosi nel 2016 con un Oscar per la sua interpretazione in Moonlight. I due, secondo una tradizione che il film si guarda bene dal contraddire, formano una coppia di antagonisti dapprima a dir poco scostante: poi, come ogni spettatore avrà modo d’immaginare facilmente, destinata a tramutarsi in reciproco rispetto e infine di commossa amicizia. A cementarla concorre la vicenda (autentica) del film, che il regista conduce con rigore attenendosi a un quasi sorprendente classicismo. Viggo Mortensen è il furbo buttafuori di un night di mafiosi nuovaiorchesi; ma, alla prima grana, è costretto a cercarsi un altro lavoro. Lo trova (un po’ facilmente) mettendosi al servizio come autista da Don Shirley, pianista di grande fama nazionale alla Liberace, ma per sua disgrazia di colore; oltre che in procinto dall’effettuare una tournée negli Stati meridionali più razzisti. Un terreno ideale per mettere alla prova la difficile convivenza fra i due. Mantenuto stilisticamente com’è sulla via maestra, Green Book risulta così, oltre che utile e divertente, ovviamente istruttivo.

Fabio Fumagalli – Filmselezione

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