1990. Nella Germania ormai unificata, Christiane (Katrin Sass), socialista di ferro, si risveglia da un coma durato mesi. Ignara dei cambiamenti e indebolita dalla malattia, la donna si crogiola in un passato che non esiste più: il figlio Alex (Daniel Brühl), con la complicità della sorella Ariane (Maria Simon), preserverà l’illusione… Finti tg, pietose menzogne, esilaranti equivoci: una commedia paradossale, stravagante e intelligente che cortocircuita Storia e storie mettendo in scena una memorabile parabola dal retrogusto amaro.
Germania 2003 (121′)
Una commedia esilarante ma amara – niente lieto fine, la verità conviene nasconderla, o forse fingere di non vederla – per una ferita ancora aperta. Che ha il merito di divertire e far pensare senza indorare la pillola né offendere i sentimenti e i ricordi degli ex-cittadini della Rdt. Con un brio, un garbo, un’intelligenza (la Germania Est era anche il sogno di un mondo migliore) che ne hanno fatto il film più visto della storia tedesca: 5 milioni di spettatori. Solo nostalgia?
Fabio Ferzetti – Il Messaggero
Film-fenomeno. Da tempo ‘Good bye, Lenin!’ di Wolfgang Becker è il primo nella lista degli incassi cinematografici in Germania, con un successo davvero raro per una commedia tedesca: affronta in chiave comica il tema (o il problema) del comunismo morto che non vuol morire, della Germania orientale che non si rassegna a scomparire nonostante siano passati anni dall’unificazione del Paese, della Repubblica Democratica Tedesca che rimane nel cuore, nelle abitudini, nelle nostalgie dei suoi ex cittadini. (…) Lo stile di ‘Good bye, Lenin!’ non ha nulla di speciale, ma la commedia che mescola divertimento e pathos è brillante, ben scritta; ed esprime tanti ragionamenti, sensi di vuoto, critiche e rimpianti di ex comunisti, tanti desideri inappagati, tanti pensieri di tenace rivolta, da risultare irresistibile
Lietta Tornabuoni – La Stampa
Una prospettiva intimista per affrontare e rielaborare uno degli eventi storicamente più dirompenti del XX secolo: la caduta del muro di Berlino. Il regista Wolfgang Becker e Bernd Lichtenberg, autori della sceneggiatura (a cui hanno collaborato anche Achim von Borries, Hendrik Handloegten e Christoph Silber), privilegiano il punto di vista del giovane Alex, evidenziando le contraddizioni, la progressiva occidentalizzazione dell’est e l’incombente consumismo dilagante (metafora, insolita e coraggiosa, della purezza perduta). Insolito e tecnicamente ben strutturato (le immagini velocizzate che trasmettono la frenesia del cambiamento), il film cala nella seconda parte, perdendosi in ripetitivi siparietti (le macchinazioni ordite dal protagonista per proteggere la madre dalla verità) e in un sentimentalismo a tratti retorico. Godibile, in ogni caso, e a suo modo coraggioso…
longtake