Gloria Bell è una donna di cinquant’anni con due figli ormai adulti e un divorzio alle spalle; nonostante la routine e la solitudine di tutti i giorni, non ha nessuna intenzione di smettere di godersi la vita e di credere all’amore, tra notti di balli sfrenati e amanti passeggeri nei club di Los Angeles. L’incontro on Arnold sarà la svolta per una travolgente passione, tra gioie e complicazioni, ma per Gloria nulla è insuperabile finché si può continuare a ballare… Remake a firma dello stesso regista. Gloria Bell rivive di vita propria grazie anche alla talentuosa bellezza di Julienne Moore. E anche nel remake di Branigan il refrain della canzone di Tozzi resta irresistibile.
Gloria
USA 2018 – 1h 42′
Gloria entra in scena ballando. In una discoteca per cinquantenni dove si suona la musica dei favolosi ’80. Gloria è una donna divorziata con due figli cui lascia frequenti messaggi in segreteria che si concludono con «sono tua madre». Gloria è la versione losangelina di un’altra donna matura e sola, raccontata dallo stesso regista nel 2013, nel film che regalò a Paulina García l’Orso per la migliore interpretazione alla Berlinale.
E due sono le sorprese. La prima è che Gloria Bell è migliore della maggior parte dei remake che vengono girati in America. Forse perché il cileno Sebastián Lelio sa il fatto suo e perché Los Angeles (e Las Vegas nella trasferta che occupa la seconda parte del film) sono efficaci sostituti di Santiago. Là c’era la turbolenta storia del Cile e il suo complicato presente. Qui c’è il malessere relazionale (John Turturro in uno dei suoi ruoli più malinconici, divorziato, ma incapace di sfuggire alla prigione della famiglia) e la farsa dell’America trumpiana (il lavoro al poligono, il negazionismo sul clima). Ma la sopresa più bella – in attesa dei cambiamenti che la rivoluzione del #MeToo porterà con sé, a Hollywood e altrove – consiste nell’adesione totale tra il film e la sua protagonista. Abitato com’è da un’incredibile presenza femminile, calzato come un guanto da una donna (a 58 anni) sempre più bella e più talentuosa.
Paola Piacenza – iodonna.it
Impossibile non canticchiare alla fine di Gloria Bell l’esplosivo refrain della canzone di Tozzi (qui nella versione inglese della Branigan), così come è impossibile non convenire sulla superba prestazione della versatile Moore. Com’era noto agli addetti il regista cileno Lelio, attirato dalla chance di aprirsi le porte del mercato internazionale, ha rifatto a Hollywood il suo omonimo e premiato film di cinque anni orsono aggiungendo al titolo solo il cognome della protagonista, ma la buona notizia è che il trapianto non ha provocato traumi o tradimenti e si è, anzi, giovato del cast affidato ai motivati e sperimentati interpreti di lingua inglese. Il prezioso lavoro d’intaglio e dettaglio fisiognomico/fisiologico ruota sui tentativi di un’occhialuta impiegata losangelese separata dal marito e madre di due figli adulti di non rassegnarsi all’automutilazione affettiva, sociale e sessuale abituale tra le ultracinquantenni single: la costante frequentazione del night club in cui può soddisfare la grande passione per il ballo non ha, in questo senso, alcunché di morboso o squallido, bensì testimonia della sua determinazione e del suo coraggio, della sua volontà di non arrendersi al bon ton societario. Il valore non comune dell’introspezione psicologica e la fermezza con cui si evitano le forche caudine del moralismo rendono vivido e chiaroscurato il ritratto femminile nonché fluido e coerente lo sviluppo del film, soprattutto quando a Gloria si presenta la possibilità d’intrecciare una relazione finalmente appagante.
Molto perspicace è anche l’equilibrio con cui sceneggiatura e regia tratteggiano la figura dell’uomo con cui Gloria decide senza perdere mai il controllo di procurarsi calore, confidenza, svago e sesso. Interpretato alla grande da Turturro, Arnold non è uno gigolo o un fantoccio a uso di #MeToo bensì uno sfuggente e bislacco gestore di un parco giochi, reduce da un serio intervento chirurgico e in apparenza perfetto per imprimere una scossa al grigio trantran di entrambi: uno dei meriti del film sta anche nella naturalezza con cui non si censurano le scene osé senza peraltro mai cedere alla tentazione, considerata l’età degli amanti, di uno sgradevole compiacimento (la Moore, tra l’altro, è ancora in invidiabile forma e non sembra stravisata dalla chirurgia estetica). Ovviamente il film non sceglie di correre, esagerare con le scene madri (che pure non mancano), scatenarsi in ritmi che non gli sarebbero congeniali e il suo meglio risiede nelle pause e le parentesi “rubate” in cui davvero sembra che lo spettatore possa scrutare Gloria con un garbato voyeurismo e –quando vaga sola in casa, si spoglia e stende sul letto o canta a squarciagola in automobile- accostarsi a una personalità assolutamente normale, ordinaria eppure proprio per questo ricca di misteri che interessano poco o niente gli affamati di scoop al cinema o nella vita stessa.
valeriocaprara.it
Il film mette in scena la drastica contrapposizione tra vita e morte, mantenendosi tuttavia a distanza da entrambe, viaggiando agilmente nel mezzo: in casa di Gloria, ad esempio, tra il gatto, figura biblica di salvezza, che si materializza costantemente nell’appartamento, e il ragazzo con manie suicide che vive al piano di sopra; nel rapporto con la figlia, tra la sua gestazione e la carriera pericolosa del futuro marito; nella relazione con Arnold, tra il gioco di guerra e il volo liberatorio nel suo parco divertimenti. Canto e ballo sono la costante di questa esperienza del suo essere, tanto genuino da risultare universale. A ritmo di musica procede il film, melodia che accompagna la sua vita quotidiana, dalla quale lei stessa sceglie di farsi raccontare e lasciarsi attirare. Musica fatta di parole, che commentano le fasi della sua esistenza, permettendo una decisa identificazione con lei, un compassionevole prenderne parte; e musica fatta di suoni e armonie quasi ultraterrene, a caratterizzare quegli onirici momenti di svolta in cui perdersi, insieme a lei e dentro lei, momenti di comprensione, di accettazione, di un viaggio verso l’autorealizzazione nella semplicità di una vita regolare.
Carlotta Po – cineforum.it