Burning – L’amore brucia

Lee Chang-dong

Durante una consegna, Jong-su, un giovane corriere, s’imbatte per caso in Hae-mi, una ragazza che viveva nel suo stesso paese. Iniziano a frequentarsi e lei gli chiede di prendersi cura del suo gatto durante la sua assenza per un viaggio in Africa. Al suo ritorno, Hae-mi si presenta con Ben, un ragazzo ricco e un po’ misterioso che ha incontrato durante il suo viaggio. Un oggetto strano e sfuggente, un film di contrapposizioni e di scrittura (sulla scrittura), di amori impossibili, di colpe da espiare, di tasselli che non troveranno mai una definitiva collocazione…


Boening
Corea del Sud 2018 (148′)

  Jong-su è un giovane che ama Faulkner, sogna di fare lo scrittore e intanto governa la vecchia fattoria di famiglia, lontana dal caos cittadino. La madre è fuggita da tempo, il papà è in carcere. In città incontra una vecchia amica d’infanzia, Hae-mi, la quale gli chiede di tenere a bada il suo gatto, essendo lei in partenza per un viaggio in Africa. Al ritorno Hae-mi presenta a Jong-su Ben, un ragazzo che fa parte dell’alta borghesia con auto e case di lusso.
Si può rimanere spiazzati davanti a un triangolo di vite dal movimento scompaginato di inafferrabilità generazionale, perché Lee Chang-dong, che molti ricorderanno per il notevole Poetry (2010), stavolta raccoglie un racconto breve di Murakami (Granai incendiati), lasciando che il rapporto tra i tre ragazzi, le ombre che lo governano, il mistero che lo accompagna, si adagi sul flusso del tempo, giocando sulle sospensioni e sul segreto: tra le tante sequenze magnifiche, imperdibili sono quelle al calar del sole in campagna, tra danze e dialoghi enigmatici. Burning è un noir sottratto a ogni indicazione: impalpabile e meditativo. Se si cerca di afferrarlo, il regista accumula gesti, informazioni, conflittualità e legami, in quello spazio ibrido dove le Coree si fronteggiano (infatti arriva la propaganda del Nord, attraverso gli altoparlanti), ma al tempo sottrae gli ormeggi, gli elementi chiarificatori, le coordinate necessarie per comprendere definitivamente il quadro: il gatto, il pozzo, le telefonate silenziose, tutto evapora in una composizione fluida, dove ogni tassello resta aperto.
Dialogando attraverso gli specchi che deformano le dicotomie città/campagna, povertà/ricchezza, Burning distribuito dalla friulana Tucker, è un film che brucia nel vero senso della parola, che affascina attraverso battiti e sospiri, passatempi pericolosi, con un ritmo dilatato che potrebbe sembrare estenuante e che invece ha l’andatura rigorosa del pensiero che si fa immagine prima che testo, raccontando una gioventù disgregata, per sbocciare in un sorprendente finale, ovviamente infuocato. Un film di una bellezza così dolorosa da far male.

Adriano De Grandis – il Gazzettino

  …Il dualismo che si instaura tra Ben e Jong-su, costruito apparentemente intorno al vertice di un triangolo scaleno (la bellissima Hae-mi), è lo scontro inevitabile di archetipi divergenti.Il confuso idealismo di Jong-su, gravato dal peso della miseria e del rimpianto, identifica in Ben ogni male, ma Lee non indica mai con assoluta certezza quanto si tratti di ossessione e quanto di realtà.
Il thriller allucinatorio di Burning si divide in due segmenti narrativi distinti: a fare da raccordo è una sequenza suggestiva e indimenticabile, in cui Hae-mi danza seminuda al tramonto sulle note di Miles Davis, liberandosi dai vincoli della società e, forse, della vita terrena. Un movimento sinuoso della macchina da presa, che segue la trance della ragazza per poi tornare sui due uomini in piano medio, senza troppo avvicinarsi ai loro volti e alla loro verità. Una danza delle ombre, un gioco di suggestioni che non ha fine, liberamente tratto da un testo di Haruki Murakami.
Ma il lavoro di messa in scena di Lee sconvolge lo spunto narrativo e introduce simboli carichi di nuovi significati. Il crescendo di paranoia che caratterizza l’ultima parte del film invita a rielaborare tutto quanto si è osservato sino ad allora, a cercare indizi in quelle che sembravano mere suggestioni. A comprendere quanti e quali significati possa nascondere il singolare passatempo di dare fuoco a serre abbandonate, o forse di estinguere giovani e problematiche vite. Comprendere Burning è come sbucciare un’arancia invisibile, di cui è impossibile dimenticare il sapore.

Emanuele Sacchi – mymovies.it

  Da sempre autore di un cinema studiato con grande cura e incentrato su storie di enorme intensità, Lee Chang-dong conferma la sua forza registica con questa pellicola, che arriva ben otto anni dopo il precedente Poetry (2010). Prendendo spunto da un racconto di Haruki Murakami (ma c’è anche molto Faulkner all’interno del film), l’autore sudcoreano costruisce un lungometraggio dal grande spessore morale, che guarda alle differenze sociali di una Corea del Sud che brucia il suo passato e in cui ogni rapporto umano sembra viziato da qualcosa che va fortemente al di là dei semplici sentimenti. È un racconto cupissimo quello di Burning, film che crea una tensione impressionante dall’inizio alla fine, nonostante la lunga durata (circa 150 minuti) e il ritmo spesso statico che il regista dà alle sue sequenze. Nella parte iniziale si definiscono al meglio i caratteri di Hae-mi e Jong-soo e quest’ultimo in particolare è un personaggio di spessore, ben interpretato da Yoo Ah-in e con cui è facile empatizzare. Il copione e i dialoghi sono ridotti all’osso, ma sono gli sguardi tra i protagonisti a parlare da soli e il loro rapporto con l’ambiente (urbano o rurale) che li circonda riempie la narrazione di diversi spunti ulteriori. E poi ci si mette l’eleganza stilistica di Lee Chang-dong, che riesce a rendere memorabile una sequenza di un ballo al crepuscolo o di una serra che va in fumo di fronte agli occhi esterrefatti di un bambino. Il risultato è un altro tassello dell’importante mosaico audiovisivo (anche la colonna sonora è pregevolissima) creato da Lee con la sua filmografia.

longtake.it

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