Nadia Murad, Premio Nobel 2018 per la Pace, è una sopravvissuta: aveva appena 20 anni la notte del 3 agosto 2014, quando l’Isis attaccò Sinjar, la sua città natale, e sterminò la sua famiglia insieme a gran parte della popolazione di fede Yazidi. Lei fu catturata, subì ogni genere di violenza e solo per una coincidenza riuscì a mettersi in salvo. Ora Nadia è diventata il volto di un popolo dimenticato e, giorno dopo giorno, combatte una battaglia difficile e dolorosa, quella per la memoria. Dai campi di profughi in Grecia ai raduni di sopravvissuti a Berlino, dal Parlamento canadese alla sede della Nazioni Unite, questa ragazza giovanissima continua a raccontare la sua storia e trova il coraggio di ripercorrere ancora una volta quei momenti terribili, riaprendo ferite recenti. Perché quanto è accaduto e sta tuttora accadendo non passi sotto silenzio. Perché la sua voce diventi il grido di speranza di un intero popolo.
On Her Shoulders
USA 2018 – 1h 34′
Nadia Murad, Premio Nobel 2018 per la Pace, è una sopravvissuta: aveva appena 20 anni la notte del 3 agosto 2014, quando l’Isis attaccò Sinjar, la sua città natale, e sterminò la sua famiglia insieme a gran parte della popolazione di fede Yazidi. Lei fu catturata, subì ogni genere di violenza e solo per una coincidenza riuscì a mettersi in salvo. Ora Nadia è diventata il volto di un popolo dimenticato e, giorno dopo giorno, combatte una battaglia difficile e dolorosa, quella per la memoria.
Il documentario di Alexandria Bombach ci mostra il ritratto di una giovane donna esemplare senza trasformarlo in un omaggio agiografico. Nadia ci viene mostrata nel percorso che la porterà a parlare dinanzi all’Assemblea Generale dell’Onu accompagnata da Amal Clooney. Ed è nello scorrere dei giorni e degli incontri che emerge il ritratto ‘vero’ di una vittima di atrocità indicibili che non ‘fa’ (come invece sarebbe assolutamente legittimata a fare) la vittima ma lotta affinché il suo popolo venga sottratto alle persecuzioni. Si vede chiaramente come per lei ogni discorso da tenere in pubblico rappresenti una forzatura su se stessa e come, al contempo, questa venga sentita come un ostacolo da superare per una finalità superiore. La si percepisce come veramente a proprio agio solo quando incontra persone appartenenti al suo popolo con le quali si sente svincolata da ogni forma di auto controllo e può anche permettersi di piangere.
La regista sa però anche cogliere, da appartenente allo stesso sesso, gesti di una femminilità che gli orrori subiti dai carnefici dell’ISIS non sono riusciti a conculcare. Nadia che si pettina i capelli, compiendo un gesto quotidiano per tutte le donne, ci dice di sé e delle persone a cui sta dedicando questa fase della sua vita molto di più di un’analisi storico sociale. Il cinema, quello vero, è anche questo: cogliere in un gesto apparentemente banale un senso altro e profondo.
Giancarlo Zappoli – mymovies.it