La storia di Stefano Cucchi, morto a 31 anni all’ospedale Sandro Pertini, mentre era in stato di detenzione e della settimana che ha cambiato per sempre la vita della sua famiglia… Il film riesce a condurci nei fatti fin dove sappiamo lasciando a ipotesi e deduzione il resto: una regia e un’interpretazione di adesione profonda all’odissea del protagonista in cui emerge il desiderio di rendere giustizia a chi in vita non ne ha avuta!
Italia 2018 – 1h 40′
…Una tragica odissea fatta di errori e prepotenze, indifferenza e paura, decisa a restituire il calvario di Stefano, ma anche attenta a non emettere facili sentenze. (…) Per interpretare Cucchi, Borghi ha fatto uno straordinario lavoro anche sul proprio corpo, che oltre a perdere diciotto chili si è come spento e ripiegato su se stesso. Ma se la sua è un’interpretazione fuori dal comune, bravissimi sono pure Jasmine Trinca nei panni di Ilaria Cucchi e Max Tortora e Milvia Marigliano in quelli dei genitori. Merito del film poi non è solo quello di lavorare di sottrazione rinunciando ad accuse e proclami, ma anche di raccontare con lucidità tutte le contraddizioni di Stefano, il rifiuto di denunciare e di farsi ricoverare subito dopo il pestaggio.
Alessandra De Luca – Avvenire
Durissimo e preciso nel colpire là dove deve andare a segno senza deviazioni di percorso Sulla mia pelle di Alessio Cremonini accompagna con rara umanità fino alla morte la settimana di agonia di Stefano Cucchi. E noto il caso della morte in carcere del giovane geometra arrestato per detenzione, spaccio e uso di stupefacenti, il più conosciuto dei 176 casi di decessi in carcere nel 2009. (…) il primo film italiano in programma alla Mostra è stato accolto con grande consenso ed emozione, asciutto e convincente, un crescendo drammatico di pietas e di denuncia. Il rigore del film è costruito sugli atti dei processi e sull’impostazione che si mantiene apparentemente distante da accuse dirette, allargando il discorso da un eclatante caso specifico a una più generale denuncia della violazione dei diritti umani. In questo senso colpisce la maturità di una costruzione cinematografica cosi capace di mettersi in diretto contatto con un pubblico internazionale. Il film procede con interventi progressivi di rara abilità nel sintetizzare inizialmente i tratti della personalità del giovane, poi il crescendo drammatico per ellissi, senza interventi declamatori, senza sbavature, senza creare artificiosamente vittime e carnefici, nella normalità della tragedia. (…) Più che un’interpretazione quella di Alessandro Borghi per Cucchi sembra essere un pressante desiderio di riportarlo in vita tanta è la forza che trasmette pur nel raccontarne la lenta agonia, una rara immedesimazione fatta di ruvido calore, di rabbia impotente che nella seconda fase del film diventa una complessa veglia funebre. (…) Nel rigore di una sceneggiatura che scandisce gli eventi e i giorni Cucchi è costretto sempre di più nel suo isolamento (…). Perde un po’ alla volta ogni contatto che non sia quello del dolore che prova. Questo isolamento è descritto alla perfezione e anticipato dalla dolorosa esperienza in comunità, dalla sofferenza procurata ai familiari (tutto interiorizzato in Max Tortora) e dalla durezza della sorella (Jasmine Trinca entrata rispettosamente in un’area privatissima) sviluppa la qualità del racconto tutto fatto di equilibrio e di misura, cosa rara trattandosi di una denuncia di violazione dei diritti che si può applicare a varie situazioni non solo nazionali. (…) Il film nasce dal desiderio di strappare Cucchi alla fissità di quelle terribili, ben conosciute fotografie che lo ritraggono sul letto di morte, e ridargli la parola.
Silvana Silvestri – Il Manifesto
Ricostruendo quel tragico calvario, il regista si preoccupa di evitare ogni eccesso melodrammatico e ogni accusa di voyeurismo (…). Il film vuole solo mostrare quello che è oggettivamente documentabile e che testimonia la superficialità di chi si è limitato a «fare il proprio dovere». I molti campi lunghi e i lunghi silenzi poi non raffreddano l’emozione ma la caricano di una tensione a tratti davvero straziante. Anche per merito della straordinaria prova di Alessandro Borghi, dimagritissimo, emaciato, catatonico, bravissimo nel restituire il pesto e rassegnato Stefano Cucchi.
Paolo Mereghetti – Corriere della Sera