Con una storiografia romanzata il film racconta tre epoche della Germania del ‘900 partendo dalla follia hitleriana e arrivando alla fine degli anni ’60: tutto attraverso l’intensa vita dell’artista Kurt Barnert, dal suo amore appassionato per la zia Elisabeth, a quello maturo per Ellie, figlia di un ex medico nazista che è riuscito a ridarsi una rispettabilità nella nuovo corso comunista, ma che non ha perso la recondita malvagità. La vivacità dell’ambiente artistico di Düsseldorf Kurt troverà la quadra per la sua carriera, per la sua vita sentimentale e per un respiro umano rasserenante nel ricordare il passato e affrontare il futuro.
Werk ohne Autor
Germania 2018 – 3h 8′
Dresda, 1938. Kurt Barnert ha pochi anni e una passione segreta per la zia Elizabeth, una fanciulla sensibile con cui frequenta i musei, fa lunghe passeggiate e suona il piano. Prodigiosa ma fragile, nella Germania nazista non c’è più spazio per le persone come lei. Ricoverata in un ospedale psichiatrico fa appello al cuore del Professor Carl Seeband perché non la sterilizzi ma il suo destino sarà più crudele e preludio di uno sterminio abominevole. Sopravvissuto al bombardamento di Dresda e cresciuto nel blocco dell’Est, Kurt ha un talento per il disegno e apprende gli studi classici imposti dal realismo socialista. Ma l’incontro con Ellie, figlia del ginecologo nazista che ha condannato sua zia, e il passaggio all’Ovest, cambieranno il suo destino artistico e riemergeranno il rimosso.
Liberamente ispirato alla vita di Gerhard Richter, artista tedesco nato a Dresda nel 1932, formatosi nella Germania sovietica e passato a Ovest per amore della pittura astratta, Opera senza autore ritrova Florian Henckel von Donnersmarck e il potenziale romanzesco del suo cinema. Quella maniera umanista di trattare le pagine nere della storia tedesca e di assumere la dimensione di una favola universale sul totalitarismo. La presenza di Sebastian Koch, drammaturgo sorvegliato in Le vite degli altri e nazista clemente nel Black Book di Verhoeven, ha l’effetto di rinforzare questa idea di cinema à l’ancienne, diretto con audacia e finezza hitchcockiane.
Dopo aver affrontato le ombre della Repubblica democratica tedesca (Le vite degli altri), l’autore attraversa le stagioni di un uomo attraverso le stagioni del suo Paese (nazismo, Guerra fredda, anni Sessanta). Ancora una volta si tratta di un film politico, di quelli che rivisitano la storia della propria nazione senza tabù e testimoniando lo stato adulto della sua società. Alla maniera della sua ispirazione, il film pratica simultaneamente due registri, realismo e astrazione, muovendo da Est a Ovest e affermando il posto della pittura nell’arte contemporanea.
Dell’arte di Gerhard Richter, von Donnersmarck cattura il grigio del piombo e delle ceneri del XX secolo. Il grigio è assenza. Il grigio non ha l’autorità tirannica del nero e nemmeno il bagliore accecante del bianco. In natura, è grigia la cenere, quello che non è, ed è grigia la nebbia, quello che dissimula la vista. La sparizione sembra la sua funzione. Sola eccezione, evidente, è la fotografia. Impero del grigio, almeno fino a quando la chimica dei colori è rimasta incerta, la fotografia è al centro del lavoro di Richter e del film di von Donnersmarck, che arriva forse troppo tardi al cuore del suo proposito, deragliando il film e il suo potenziale nel melodramma iperbolico.
Perché il vero interesse di Opera senza autore dimora a Ovest di sé, nella Germania e nella porzione di film emancipata dalla dittatura commerciale. È lì che il film decolla riprendendo come Richter i ritratti in uniforme della Wehrmacht, della zia condannata dall’eugenetica nazista e del medico colpevole di quella campagna di eutanasia. I quadri del pittore, quello reale e quello finzionale, riproducono sulla tela foto in bianco e nero, il pennello le ricalca e quando la materia pittorica è ancora fresca, Richter/Barnert la graffia con lentezza e uno strumento leggero, un gesto morbido ma sufficiente perché le linee si confondano e le forme perdano la nitidezza. Il risultato sono immagini fantomatiche, frammenti di un inventario autobiografico, di un mondo senza colore. Grigio è il tono della storia della Germania tra il 1933 e il 1945, un grigio tragico che dissimula dietro le ombre brandelli di memoria. Se Richter dipinge la Storia partendo da fotografie che riproduce sfumandole, von Donnersmarck la interroga dipingendo affreschi emblematici del passato. In entrambi i casi, l’effetto è di costringerci a guardare più da vicino.
Marzia Gandolfi – mymovies.it