Il gioco delle coppie

Olivier Assayas

Alain, editore parigino di successo, e Leonard, suo autore storico, faticano a comprendere l’editoria contemporanea, fatta di e-book e social media. Quando si incontrano per discutere del nuovo manoscritto di Leonard, Alain rifiuta di pubblicarlo. Sua moglie lo ritiene invece un capolavoro… Con un’amabile commedia Assayas ribadisce la sua reputazione di autore intellettuale. Il gioco delle coppie è un simposio di idee, dialoghi e riflessioni sulla nuova realtà di flussi e di schermi a cui nessuno riesce più a sfuggire.


Double vies

Francia 2018 – 1h 40′

 VENEZIA – Olivier Assayas torna alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia dopo Sils Maria (a Locarno nel 2014) e Personal Shopper (Miglior Regia a Cannes nel 2016) con un film-saggio che, alla lontana, pare completare e riformulare il discorso (più radical-chic che filologico) di Qualcosa nell’aria, film sul contesto politico e culturale in cui si è formata la sua generazione e la classe intellettuale di cui fa parte.

Double vies rivolge invece lo sguardo ai giorni nostri, e quegli stessi intellettuali oggi si confrontano coi maestosi cambiamenti tecnologici che (s)travolgono, in diversi ambiti e declinazioni, le loro vite sofisticate. I protagonisti sono tutti, in qualche maniera, alter ego del regista e di chiunque, come lui, si occupi d’arte e cultura: Alain, editore costretto a decifrare il valore di un romanzo che ormai si smaterializza in ebook, e la moglie Selena, attrice di teatro che deve la propria notorietà a un ruolo televisivo in una fiction di basso pregio. Ci sono l’amico Léonard, scrittore smascherato e criticato – nell’era della post-truth – per l’uso “improprio” di vicende autobiografiche nei suoi scritti, e la compagna Valérie, che è invece lo specchio di chi (la massa) non si sofferma sul senso e le conseguenze di certi mutamenti ma semplicemente usufruisce in modo onnivoro dei nuovi media, e gode delle semplificazioni che offrono.

 

La loro di fatto non è reazionaria riluttanza al cambiamento, atteggiamento che di certo non appartiene a quella generazione; si può parlare semmai di novecentesca nostalgia, ma soprattutto dell’urgenza di intercettare – per comprendere prima di sfruttare – e interagire con un nuovo linguaggio dai contorni impossibili da tratteggiare, e che appaiono a ogni rimando vagamente ma irreversibilmente diversi e espansi. Si fa quindi inevitabile il confronto in parallelo con le nuove generazioni, quelle di giovani che non portano il peso del passato per inevitabile scelta, perché proiettati nel qui e ora senza soluzione di continuità con tutto ciò che è “nuovo”. E nulla che li riguardi è nemmeno rivolto al domani, mentre una piattaforma fallita, un dispositivo che cade nel dimenticatoio, al pari di una relazione che finisce, appartengono irrimediabilmente già a un passato lontanissimo.
Il discorso sul linguaggio stratifica i sensi del film mentre nello scontro-intreccio abilmente messo in scena e scritto da Assayas, un filo conduttore che attraversa tempo e spazio svela la propria presenza e la natura comica dell’opera: l’amore è tema e sottofondo, innalza e ridicolizza, traduce e squalifica ogni teoria, è roba da adulti ma ci rende tutti adolescenti, e si fa chiacchiera, ma si spiega quasi sempre fuori dalla scena. Il ridicolo dunque sta nella ripetizione degli eventi, nell’equivoco (della comedie) sulle diversità tra ieri e oggi, nel fermarsi a discutere nostalgicamente di quello che si va perdendo. E infine nella sospensione della risposta: in fondo non si scrive, si consuma, e si ama ugualmente e diversamente ogni giorno, secolo, o in ogni generazione? Per Assayas evidentemente l’algoritmo è nell’arte stessa.

Valentina Torresan – MCmagazine 47

 

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