Christa Päffgen, in arte Nico, è stata una delle più importanti icone pop del secolo scorso. Famosa modella negli anni Sessanta, habituée della Factory di Andy Warhol, cantante del gruppo musicale Velvet Underground e musa di Lou Reed, che nell’ultima parte della sua vita intraprende la carriera di solista girando per l’Europa e interpretando i suoi brani con una band inglese. Il film, ambientato tra Parigi, Praga, Norimberga, Manchester, nella campagna polacca e il litorale romano, racconta gli ultimi tour di Nico e della band negli anni Ottanta: anni in cui la “sacerdotessa delle tenebre”, così veniva chiamata, ritrova sé stessa, liberandosi del peso della sua bellezza e ricostruendo un rapporto con il suo unico figlio dimenticato. È la storia di una rinascita, di un’artista, di una madre, di una donna oltre la sua icona.E “il cuore del film sta nella performance straordinaria della protagonista Trine Dyrholm, scarmigliata, tormentata, dispotica, ma anche carica di un’energia creativa.
Italia/Belgio 2017 – 1h 33′
…Un film italiano, pienamente europeo e non solo perché parlato in inglese e perché attraversa vari paesi. (…) non si tratta di un biopic tradizionale, e viene subito smontata anche la mitologia del rock. Senza essere mai troppo insistito, a tratti immergendosi nel personaggio, a tratti allontanandosene in maniera critica, Nico, 1988 racconta in realtà l’Europa del dopoguerra al tramonto. È proprio questo il cuore del film, ciò che lo rende appassionante anche per chi non sa molto delle vicende narrate: il ritratto di una banda di relitti, che porta con sé il fallimento di una generazione, e attraversa il grigiore dell’Europa dell’Est e dell’Ovest un attimo prima che tutto cambi. (…) E se in lontananza riemergono i fantasmi di una nascita già tragica di quest’Europa, coi flashback di Nico bambina che osserva Berlino bombardata, i decenni appena trascorsi della creatività, della libertà e dell’utopia sono evocati invece solo nei lampi delle immagini d’epoca girate da Jonas Mekas, grande filmmaker underground lituano-newyorchese. Con una crescita sbalorditiva rispetto ai primi due film (Cosmonauta e La scoperta dell’alba), Nicchiarelli mostra un controllo impeccabile della messinscena (inquadrature mai troppo composte, pochi movimenti di macchina che spiccano per intensità, riprese sempre intelligenti dei concerti), offre una ricostruzione d’ambiente convincentissima, per piccoli tocchi, e gestisce un ottimo cast di attori, tra cui spicca ovviamente la protagonista Trine Dyrholm (… ), che canta le canzoni di Nico, ri-arrangi.
Emiliano Morreale – La Repubblica
La forza del film (…) sta in un lavoro profondo di destrutturazione parallela: se la biografia degli ultimi mesi di Christa – la sua è una Passione lunga e tormentata, ma anche tenera e esaltante, in pochi meravigliosi momenti – segue un filo narrativo quasi lineare, quello musicale è un volo sghembo, un cinema che è racconto musicale classico e allo stesso tempo moderno, diverso, con i suoi strappi vocali e registici a portarci sempre dove non ci aspettiamo.
Boris Sollazzo – rollingstone.it
Quando si parla del binomio genio e sregolatezza, così come dei tormenti privati di grandi artisti sul viale del tramonto, il rischio dei cliché e dei sentieri già battuti è sempre dietro l’angolo; ma Nico, 1988, pur inserendosi appieno nel suddetto filone, può contare comunque su una capacità di messa in scena che aggira il rischio di un’eccessiva convenzionalità, evitando al contempo derive patetiche e sbavature melodrammatiche. Il ritratto costruito da Susanna Nicchiarelli e da Trine Dyrholm ci mostra una Nico alle soglie dei cinquant’anni, che si rifiuta di parlare del sodalizio con i Velvet Underground e dichiara di aver perso interesse per la musica, ma che una volta sul palco, quando non è in preda agli effetti dell’eroina, è ancora in grado di trasmettere passioni e struggimenti di un cuore tutt’altro che svuotato. Nel corso del film seguiamo pertanto Nico, la sua band e il suo ristretto entourage fra una semidisastrosa tournée in Italia e una rocambolesca esibizione nella Praga sottoposta alla rigida censura del regime filosovietico; assistiamo alle sue bizze con l’amico e manager silenziosamente innamorato di lei e all’angoscia materna per Christian Aaron Päffgen, il figlio tossicodipendente avuto da Nico insieme ad Alain Delon (e mai riconosciuto dal padre).
Fra concerti, baruffe dietro e davanti le quinte e affettuose ‘spaghettate’ notturne, il film ci mostra la Nico degli anni Ottanta in un implicito ma incessante confronto con il passato. Un confronto che, sapientemente, la Nicchiarelli non esprime con il facile espediente dei flashback, ma sfruttando al meglio le sfumature e i dettagli: che si tratti di un fugace commento su un’infanzia trascorsa in una Berlino sotto le bombe o del peso iconografico di un’artista che si rifiuta di farsi trattare come un pezzo da museo. Così come le performance di Nico non fungono da meri inserti riempitivi, ma assumono di volta in volta un preciso valore narrativo, ricreando suggestioni e stati d’animo della ex Chelsea Girl: che si tratti di uno dei suoi cavalli di battaglia, quella These Days scritta apposta per lei da Jackson Browne, o di un’emozionante cover di Nature Boy.
Se dunque l’approccio di Susanna Nicchiarelli risulta nel complesso più che lodevole, la forza di Nico, 1988 è legata in egual misura anche a una Trine Dyrholm in stato di grazia: all’attrice danese bastano infatti sguardi e movenze per restituire l’intransigenza, i demoni interiori e la sferzante ironia della sua protagonista, regalando un’interpretazione da applausi. Nell’epilogo, infine, il film evita di mostrare in maniera diretta l’assurda morte di Nico, ponendo invece l’accento sul suo percorso di ‘riconciliazione’ con l’esistenza: una riconciliazione affidata ai versi di William Wordsworth, alla sua Ode all’immortalità e alla nostalgia per “l’ora di splendore nell’erba” che nulla potrà mai riportare indietro.
Stefano Lo Verme – movieplayer.it