Da un’idea di Michael Caine, un’immersione nello spirito libertario della swinging London. Un ricordo commosso, nostalgico, che abbraccia la gioventù del grande attore inglese per condividere la rivoluzione culturale dei “suoi” ruggenti Anni Sessanta.
Gran Bretagna 2017 – 1h 25′
Da un’idea di Michael Caine, un’immersione in tre capitoli nello spirito rivoluzionario e libertario della swinging London degli anni Sessanta. Momento unico e seminale non solo in campo musicale, con la british invasion dei gruppi inglesi alla conquista dell’America, ma soprattutto per l’apertura a istanze democratiche, pacifiste, egualitarie (e sì, anche alle porte della percezione, qui rivista criticamente in chiusura). Per l’iconico protagonista di Alfie, che si presenta subito come la guida di questo viaggio, il dato più importante è stato l’improvviso, clamoroso accesso che la classe operaia ha improvvisamente avuto ad ambiti fino ad allora ad essa preclusi: oltre al cinema e alla musica, la moda, il design, l’arte, la grafica.
A riproporre tale composito zeitgeist concorrono in ugual misura le dichiarazioni dei protagonisti dell’epoca sulle meravigliose, numerosissime immagini d’archivio della città e di quel boom, interventi in voce registrati oggi, e le hit del decennio. Una tracklist scelta con precisione chirurgica (ed era prevedibile, dato che il produttore Simon Fuller viene dalla discografia e si occupa oggi di talent musicali): oltre agli ovvi Beatles, Stones e Kinks, My Generation dei The Who, che dà il titolo al film (l’urlo che sancisce uno strappo storico decisivo), la tensione alla fuga di We Gotta Get Out of This Place dei The Animals e di I Feel Free dei Cream, la chiamata all’azione e l’insofferenza delle più classiche Something In the Air dei Thunderclap Newman e Satisfaction degli Stones, la seduttiva Sunshine Superman di Donovan.
Raffaella Giancristofaro – mymovies.it
I ruggenti Anni Sessanta vivono ancora, sul grande schermo e nei cuori dei suoi protagonisti. La rivoluzione culturale di My Generation parte dagli occhi di un Michael Caine commosso, nostalgico, che abbraccia la sua gioventù perduta per condividere il furore di quel decennio. La società classista ed elitaria ha dovuto, suo malgrado, accettare il grido di ribellione di tutti coloro che volevano rompere ogni canone, andare oltre le barriere, per sentirsi finalmente liberi. Tornare a respirare dopo decenni di clausura.
Caine ricorda Londra, i suoi colori e le avventure di un passato che ha cambiato il mondo. A otto anni voleva recitare, ma le luci della ribalta erano lontane dalla mente. Il suo vero nome era Maurice Joseph Miklewhite Jr. Troppo lungo, impronunciabile. Fu Humphrey Bogart a ispirarlo. Un giorno vide la locandina de L’ammutinamento del Caine che svettava su Leicester Square, e non ci pensò due volte ad aggiungere un Caine dopo il Michael. Era il 1954, e in poco più di due lustri si sarebbe scatenato il finimondo.
My Generation è un documentario dinamico, travolgente: ottantacinque minuti di psichedelia e fermenti. Si divide in tre atti, che descrivono la voglia di esplodere, le prime vittorie e il cambio di percezione di un’Inghilterra che vuole rovesciare ogni certezza. Non è vero che i figli degli operai non possono studiare. Le ragazze possono avere i capelli corti e i maschi delle fluenti chiome. Le gonne si accorciano, l’amore fisico vince sulla repressione e la musica sconvolge le vecchie generazioni.
“Bisognava fare rumore, alzare il volume della radio”, ci racconta il Caine di oggi. Intanto i Beatles cantano in sottofondo, per poi passare agli Who, ai Rolling Stones e a quelle “porte della percezione” di un verso di Blake che avrebbe ispirato Jim Morrison con i Doors. Il regista David Batty spinge sull’acceleratore e i filmati d’epoca scorrono veloci, le interviste si accavallano e la filmografia di Caine passa dall’accento posh di Zulu al fascino di Ipcress, fino al romantico Alfie. Il bianco e nero si colora, il montaggio diventa iperveloce, le luci abbagliano. Non c’è tempo: è la fretta di una generazione che deve scoppiare.
Il passato si mischia al presente. Caine guida una sportiva nella Piccadilly Circus di più di cinquant’anni fa e poi ci troviamo nel 2017, con l’attore ancora al volante. My Generation è un viaggio forsennato, non solo nello scorrere del calendario, ma anche nelle anime di chi scendeva in strada per far volare una colomba contro la guerra, per salvare il Vietnam mentre Strawberry Fields Forever risuona in lontananza. Twiggy, David Bailey, Mary Quant, i Rolling Stones, David Hockney e altre celebrità intrattengono interviste impossibili con il Caine – narratore, che risponde anche se loro non possono sentirlo.
Gian Luca Pisacane – cinematografo.it