Francia/Germania/Svizzera 2018 – 2h 54′
BERLINO – Aveva fatto parlare di sé con Il grande silenzio (2005), memorabile documentario su una comunità di monaci votati, appunto, al silenzio, poi aveva ricevuto il Premio speciale della Giuria per La moglie del poliziotto, estenuante dramma sull’incomprensione e sulla violenza coniugale didatticamente diviso in 57 capitoli, ostico alla visione completa e coraggiosamente distribuito in Italia (Satine Film) con un esiguo riscontro di pubblico. Passati quattro anni (è questo a quanto pare il tempo minimo necessario a Philip Groning per completare una sua opera, di cui è sempre, oltre che regista, autore, fotografo e e post-produttore), rieccolo a Berlino con questo My Brother’s Name Is Robert and He Is an Idiot. E la musica non cambia.
Per 175 interminabili minuti seguiamo gli ultimi giorni d’estate di Robert (Josef Mattes) ed Elena(Julia Zange). Sono fratelli gemelli, in quell’età sospesa tra fanciullezza e maturità. Sdraiati sull’ l’erba in un prato antistante una solitaria stazione di servizio (di cui la loro famiglia è proprietaria, anche se i genitori non appaiono mai), passano il tempo
a far nulla, cazzeggiano, si punzecchiano, filosofeggiano… Sono entrambi prossimi all’università, lei si prepara ad un esame di ammissione alla facoltà di filosofia, l’altro non ha ancora deciso cosa fare. Ma è lui il Robert del titolo, tutt’altro che un idiota,il più profondo. E sono una quantità di citazioni e rimandi (e banalità) tratte da Platone, Sant’Agostino, Bergson, sopratutto Heidegger di Essere e tempo: cos’è la vita? esiste la realtà? cos’è il nulla? il presente esiste o non esiste? E così via.
Il tutto ripreso con una certa eleganza secondo i più classici cliché del cinema autoriale (cfr Malick): grandi paesaggi all’infinito, i due ripresi dall’alto fino ad apparire microscopici, un’infinità di zoomate su pelle, brufoli, fili d’erba, insetti (un malcapitato grillo che lei si diverte a far navigare sull’acqua dentro un pacchetto di sigarette vuoto). E veniamo al punto: dopo aver mimato un goffo rapporto incestuoso, tra di loro scatta l’infantile scommessa. Lei giura di riuscire a perdere la verginità prima dell’inizio delle lezioni, lui si impegna, qualora ci riesca, a regalarle la sua Golf rossa.
Nel frattempo si susseguono le incursioni nella stazione di servizio (luogo dove scorre la vita vera,in contrapposizione al prato delle elucubrazioni). Lui soprattutto per rifornirsi di birre nel frigo, lei per tormentare con le infantili richieste e dispetti dapprima i due impiegati che si danno il turno di giorno e di notte; poi i rari clienti che sopraggiungono. E qui cominciano i guai: ci saranno scontri, litigi, un ridicolo tentativo di stupro all’incontrario fino allo ormai prevedibile tragico finale.
Tutto qui. Non c’è storia, trama, personaggi. Tutto così per quasi tre ore, con addirittura alla fine l’incongrua scena dell’esame di lei e il tentativo finale di Groning di spiegarci le sue ragioni sulla relatività appunto del tempo e della sua percezione (e pazienza se nel frattempo metà del pubblico se ne è già andato!).
Quello che fa rabbia è’ che un autore come Groning, capace di grande bellezza formale, abile colla macchina da presa (che tiene in mano lui stesso), intellettualmente preparato e molto tedesco nello spirito, debba poi rimestare, diluire, rendere insopportabile la sua materia fino al punto da far scappare i suoi destinatari (è accaduto anche in proiezione stampa) ben prima della fine!
PS Il film è stato girato durante l’estate del 2013!
Giovanni Martini – MCmagazine 45