Un piccolo paese di montagna, Avechot. Una notte di nebbia, uno strano incidente. L’uomo alla guida viaggiava da solo. È incolume. Allora perché i suoi abiti sono sporchi di sangue? L’uomo si chiama Vogel e fino a poco prima era un poliziotto famoso. E non dovrebbe essere lì. Un mite e paziente psichiatra cerca di fargli raccontare l’accaduto, ma ad Avechot nulla è ciò che sembra e nessuno dice tutta la verità. Questa non è una scomparsa come le altre, in questa storia ogni inganno ne nasconde un altro più perverso. Dal suo romanzo omonimo Carrisi si cimenta come sceneggiatore-regista: tra giallo e ironia, un thriller che sembra preso dalle pagine di cronaca nera.
Italia/Francia/Germania 2017 – 2h 7′
Risulta lodevole (…) l’intenzione di Donato Carrisi (…) di dirigere personalmente La ragazza della nebbia operando, cioè, a ragion veduta i tagli e le modifiche imposte dallo scambio di linguaggi. Avvalendosi di un cast professionale impreziosito dal protagonismo di Toni Servillo, a suo agio in tutte le sfumature richieste da un personaggio fortemente ambiguo a cominciare dal disprezzo nutrito nei confronti di un gruppo di uomini e donne ispidi, rozzi o peggio fanatici, Carrisi adatta dunque se stesso non potendo o volendo peraltro fare ameno d’ispirarsi, talvolta platealmente, ad alcuni capisaldi del genere, da Twin Peaks a Fargo, dai raggelati puzzle alla Seven ai torbidi intrighi simenoniani cari alla maniera francese degli Chabrol e dei Tavemier. Come il romanzo, innescato dalla sparizione di una ragazzina appartenente all’isolata comunità di una cittadina montana – impossibile non pensare alle cittadine, da Alleghe a Cogne, immortalate dal dopoguerra a oggi dalla cronaca italiana, il film serve con diversa incisività il doppio spunto della strumentalizzazione di una tragedia sia da parte di chi investiga su di essa (esaltato dal carisma insostituibile di Servillo), sia da parte di coloro che dovrebbero limitarsi a raccontarla (…) L’incontro/scontro tra l’ispettore di Servillo e lo psichiatra di Reno sorregge bene, in definitiva, l’asse portante strettamente romanzesco, quello che risulta precario è il senso di mistero e sortilegio innescato dal sospetto che il Male venga generato dallo stesso finto-edenico paesino.
Valerio Caprara – Il Mattino
Siamo tornati ai gialli del «whodunit», del chi è stato, secondo Hitchcock. (…) poiché nel film il prof. Martini (bravo Alessio Boni) giura che in letteratura si copia, lecito si faccia pure al cinema: solite sospette citazioni. Nella prima metà il racconto innevato e perverso funziona, affabula (…) per invitarci sull’ottovolante del flashback. Che mescola varie istanze (il bisogno della vittima, il business della colpa, la morbosità curiosa della folla). Poi si complica… Alla fine si litiga su chi ha capito come, cosa e perché.
Maurizio Porro – Il Corriere della Sera