Sophia giovane e bella, ha sposato il ricco mercante Cornelis Sandvoort per salvare la sua famiglia dalle sabbie mobili della povertà. Al suo fianco l’uomo, attempato e schiavo del proprio potere da mercante del pepe nero, spera di trovare gioia e appagamento fisico, oltre a un erede maschile. Per immortalare la sua presenza statuaria e di successo, Cornelis assolda il talentoso pittore Jan Van Loos, ma, seduta dopo seduta, tra l’artista e Sophia si fa strada una fulminea e bruciante passione, sessualmente travolgente e inevitabilmente prossima al baratro della tragedia e della colpa. Melò perfetto per gli amanti dei film in costume, per chi cerca passioni e fughe romantiche, almeno al cinema…
Tulip Fever
Gran Bretagna/USA 2017 – 1h 47′
Nella Amsterdam del XVII secolo il ricco mercante Cornelis Sandvoort sposa la giovane Sophia, cresciuta orfana in un convento. Nella spasmodica attesa di un erede, i due posano di fronte al pittore Jan van Loos per un ritratto che cambierà le loro vite. Quando, infatti, Sophia si innamorerà del pittore, i due escogiteranno un piano per vivere la loro passione clandestina, d’accordo con l’aiuto della cameriera Maria. Proprio quest’ultima racconta la storia, ed è la prima idea interessante del dramma in costume diretto da Justin Chadwick e sceneggiato da Tom
Stoppard. A raccontare non è tanto la protagonista/eroina romantica ma la cameriera, quasi a richiamare una tradizione squisitamente classica (il servo di Plauto) ma anche a richiamare alla memoria l’incanto di film come Il filo nascosto dove a tessere la trama è proprio una cameriera.
Anche in questo caso è lei a narrare la storia, e lei a stravolgerla accordandosi con la giovane inesperta consorte Sophia, a cui dà volto e grazia la sempre impeccabile Alicia Vikander. Smessi i panni atletici di Tomb Raider, torna a vestire bustini, corpetti e deliziosi costumi d’epoca come in The Danish Girl e Anna Karenina, ma qui è chiamata a rappresentare la condizione femminile di un’epoca in cui una donna era trattata alla pari di un raro tulipano. Siamo in Olanda, in piena febbre di commercio di tulipani, quando qualche bulbo poteva valere una fortuna (lo sa bene l’astuta suora interpretata da Judi Dench, ben diversa dalla performance velata di Meryl Streep ne Il Dubbio, ma ugualmente ipnotizzante).
Come un fiore pregiato e prezioso, una donna viene comprata dagli agi e dalle promesse di un vedovo desideroso di ricostruirsi la famiglia dopo un duplice lutto. Ad interpretarlo c’è quel Christoph Waltz da cui ci si aspetta sempre un tocco di follia, invece questa volta nessun ghigno diabolico solca il suo volto: il mercante a cui è chiamato a dare corpo e voce è sì esuberante ma profondamente umano e per nulla vendicativo.
Claudia Catalli – mymovies.it
Qual è il punto d’incontro definitivo tra l’arte e il cinema? Forse l’equazione è più una continuità e il Cinema diventa l’espressione organica, dilungata, di una manifestazione pittorica ferma, conclusa, che tuttavia cerca di riprendere un pezzo sfuggente della realtà. La pittura, si sa, è arrivata molto prima del Cinema. Ma il detto “arte in movimento” scava sempre nella sua fonte primaria e torna spesso alla calma del dipinto, dell’acquerello, forse cercando un briciolo di passività, quel senso di chiusura, di finito, di sorriso perenne, sguardo fisso e paesaggio statico che anche se non si muove non perde mai i suoi colori, la sua natura, il suo fulgore.
Nel suo quarto lungometraggio, La ragazza dei tulipani – tratto del romanzo omonimo di Deborah Moggach – il regista inglese Justin Chadwick (L’altra donna del re) riflette su questa alchimia, muovendo la sua narrazione tra inquadratura e dipinto, tra pellicola e olio, ritratto e mobilità, realtà e rappresentazione. Nell’Amsterdam del 1600 la giovane orfana Sophia (Alicia Vikander), cresciuta in un chiostro dalle suore – sotto la tutela della badessa personificata dalla sempre brillante Judi Dench – viene presa in matrimonio da un ricco e vecchio mercante, Cornelis Sadvoort (Christoph Waltz); anche se lui rappresenta l’unica via d’uscita a una vita di chiusura e preghiera, Sophia sente una sorta di devozione quasi religiosa nei suoi confronti. Ma quando Cornelis decide di farsi ritrarre con sua moglie, occorre l’incontro definitivo: quello tra Sophia e il giovane pittore Jan Van Loos (Dane DeHaan). Tutto sotto gli occhi nascosti e attenti di Maria (Holliday Grainger), la cameriera di Sophia. Anche se appartiene a un mondo del quale, secondo le regole delle favole, non potrebbe mai essere protagonista, Sophia diventa il narratore e il punto di vista centrale di una storia che fa parte del suo passato, costruendo allo stesso tempo una narrazione aliena e anche la sua propria vita.
Mentre il commercio di tulipani diventa una febbre collettiva – e il ritratto della coppia prende forma, per rendersi una prova silente di una storia nascosta e stridente, come in La ragazza dall’orecchino di perla – il film di Chadwick fiorisce all’improvviso, diventa instancabile, continua a spingersi oltre i canoni e rivela il suo atto rivoluzionario: raccontare una storia del passato, come se fosse girata nel presente. Un dipinto classico, appunto, di Amsterdam nel 1600 – con tutta la sua parsimonia, atmosfera bucolica, calma ed energia repressa – sottoposta a un ritmo frenetico, un racconto girato a 360 gradi, un Action cam fuori tempo. Una vecchia città in costruzione che sembra una Metropoli contemporanea, un mercato che diventa una versione settecentesca e ancora più spietata di Wall Street. Un dramma in costume che prende forza nel suo anacronismo, forse riconoscendo l’inevitabile sguardo del presente come l’unico e più onesto approccio possibile…
Paula Frederick – sentieriselvaggi.it