Isabelle (Ariane Ascaride) è un’astronoma francese che vive dalle parti di Trieste in una grande villa circondata di campagna. Il paesaggio è un vero paradiso: da un lato i vigneti illuminati dal sole, dall’altro, a pochi chilometri di distanza, il mare. Attorno a lei gravitano il figlio Jérôme, sposato e in attesa di un bambino, e Davide, un giovane che Isabelle si sente in dovere di aiutare… Un dramma sottaciuto pesa infatti sulla serenità di Isabelle e Jérôme e il forte legame instaurato con Davide metterà progressivamente a nudo le sofferte dinamiche del loro vivere. Locatelli prova a raccontare il mondo interiore dei protagonisti attraverso la banalità del quotidiano. Un racconto intenso ed “ermetico”, positivamente anomalo nel panorama del cinema italiano.
Italia/Francia 2018 – 1h 30′
Non sono molti i film capaci di raccontare un mondo interiore attraverso la banalità delle azioni quotidiane, il lato oscuro nascosto dalla rassicurante cortina dei rapporti sociali. Isabelle di Mirko Locatelli (I corpi estranei) riesce a catturare l’attenzione dello spettatore senza fornirgli troppi elementi concreti e lo conduce in un viaggio senza bussola all’interno della personalità di una donna consumata da un segreto terribile e da un’ansia di protezione materna che la rende complice di un delitto, sia pure involontario. Il merito di questa efficacia sta nella costruzione della storia (il film ha vinto il premio per la sceneggiatura al festival di Montreal) che conferisce uguale importanza al linguaggio parlato e a quello del corpo, il cui disaccordo è spesso rivelatore.
Non sappiamo veramente cosa passi dentro la testa di questa donna matura ma non arresa al tempo che scorre, a suo agio in un corpo ancora desiderabile e ferocemente protettiva nei confronti del figlio e della nuora incinta, le cui vicende il film ci racconta nel tempo di una fatidica estate. Tre mesi in cui si divide tra il lavoro (sappiamo che è astronoma ma i ritmi rallentati della stagione lasciano spazio ai momenti di relax, tra i vigneti della campagna triestina e il mare) e le visite in ospedale, dove entra volutamente in contatto con Davide, un giovane paziente sopravvissuto a un incidente in cui è rimasta uccisa la sorella. Non capiamo a che gioco stia giocando Isabelle, così come non lo capisce il ragazzo e forse nemmeno lei, che inizia a dargli ripetizioni di fisica col pretesto di tenerlo d’occhio e capire a che punto sono le indagini su un fatto che riguarda da vicino qualcuno a lei molto caro. Per questo arriva a litigare col figlio e ad allontanarlo, mentre si avvicina pericolosamente a Davide, per scoprire che anche lui nasconde qualcosa.
Il racconto si snoda sapiente, sullo sfondo di un paesaggio di rara bellezza che sembra determinare gli eventi all’insaputa dei protagonisti. Isabelle è un film che sfugge alle definizioni, una coproduzione insolita nel panorama italiano, forse spiazzante per uno spettatore disabituato a un cinema che non spiega ma invita a guardare e ad ascoltare: dentro ci sono il dolore e la miseria di un essere umano che ha compiuto una scelta irrevocabile, il senso del trascorrere del tempo e della gioventù, la consapevolezza che certi segreti distruggono l’anima. Fondamentale, nel coinvolgerci in questa avventura che sembra svolgersi tra gli invisibili interstizi dell’anima, sono gli attori, soprattutto la protagonista Ariane Ascaride, musa e moglie di Robert Guédiguian (qua in veste di produttore), una di quelle interpreti che sembrano indossare con naturalezza un personaggio come una seconda pelle. La sua Isabelle è ruvida, a tratti indisponente, ma dotata della simpatia e del fascino di una ragazzina volitiva e un po’ capricciosa che a tratti fa capolino dalla sua acuta fisionomia e dal suo corpo snello ed esibito. Ad affiancarla con sicurezza, in questo imploso dramma borghese, ci sono Samuele Vessio, al suo debutto nel ruolo di Davide, e il figlio d’arte Robinson Stévénin.
Daniela Catelli – comingsoon.it