Dopo aver promesso a 1100 operai che i loro posti di lavoro sarebbero stati salvi, i dirigenti di una fabbrica decidono improvvisamente di chiudere i battenti. Laurent, uno degli operai, si batte in prima fila contro questa decisione, conducendo una lotta sindacale senza esclusione di colpi per reclamare diritti e dignità dei lavoratori.
En Guerre
Francia 2018 – 1h 45′
Manifestazioni a striscioni e megafoni, (…). Non si va a casa neanche una volta a capire chi sono e da dove vengono operai e impiegati (attori non professionisti), a eccezione di una telefonata con la figlia incinta del sindacalista Laurent (un Lindon disperso in un ruolo totale). (…) Brizé (già con Lindon per La legge del mercato) si prende l’impegno di ricordarci come il superamento delle ideologie ha garantito però la vittoria di una su tutte: il mercato. La cinepresa sta agli ordini di una regia originale, ma rischiosa: eliminare le vicende personali, dunque l’identificazione con qualsiasi personaggio, per sbattere contro le trattative. Tra Ken Loach e un Tg, una incontrollata sfumatura di fiction minaccia buone intenzioni. Resta la crisi di sopravvivenza dei licenziati che purtroppo conosciamo.
Silvio Danese – Nazione-Carlino-Giorno
I profitti aumentano ma la fabbrica chiude. (…). La risposta non può che sortire in una dichiarazione di guerra. Lapidario, diretto, indignato al punto giusto, In guerra è quel che promette (…). Attrezzato di uno sguardo allettato alle ingiustizie umane ancor prima che civico-sociali, Stéphane Brizé riesce nell’intento di mostrare ciò che avviene prima (…) E questo ‘prima’ si chiama indifferenza ai bisogni reali a vantaggio di un meccanismo economico perverso, impossibile da comprendere perché sostanziato in un paradosso. (…) Già, quella medesima La legge del mercato (La loi du marché) che lo stesso Brizé aveva indagato nell’omonima opera capace di incantare la Croisette nel 2015 e celebrare Vincent Lindon quale miglior attore. Ma per quanto vicino tematicamente a In guerra, quello era un testo cinematografico di sottrazioni, (…). Il film (…) è invece l’esatto opposto: un’esplosione in crescendo di furore verbale e gestuale quale vero attacco frontale contro chi nega il diritto al lavoro. E davanti alla macchina da presa, nei panni del portavoce sindacalista Laurent Amedeo, c’è ancora lui, il gigantesco Vincent Lindon che non avesse già vinto a Cannes come sopra, qui forse avrebbe meritato ancor di più il riconoscimento. (…) Questo non toglie nulla alla qualità di un lungometraggio di denuncia (…) di “logica rabbia”, ossimoro che non dovrebbe esistere nella natura dei comportamenti umani. Come negli scenari del primo Ken Loach, il cineasta francese adotta il linguaggio della finzione per veicolare un messaggio civile e sociale di portata primaria, ritenendo ‘la ricostruzione verosimile’ più potente del documentario per l’ovvia attrazione emozionale esercitata sul pubblico, chiamato poi alla giusta riflessione. (…) Nella ‘sua’ finzione come purtroppo nella realtà a cui si ispira, In guerra è un film esemplare che vorremmo non più necessario.
Anna Maria Pasetti – Il Fatto Quotidiano
Autore di due film bellissimi e tra loro apparentemente opposti, La legge del mercato e Una vita, Stéphane Brizé torna a lottare con ‘In guerra’, reportage di uno sciopero che sembra documentario ma è fiction dove il solo attore tra veri operai è Vincent Lindon (ispirato dal sindacalista Xavier Mathieu). È un lungo, infinito controbattere tra le ragioni dei lavoratori che non accettano la chiusura della fabbrica dopo aver rinunciato a molti loro diritti. Ma i padroni riescono a dividere la controparte e sarà una bella delusione per tutti. Storia nota ma sempre inedita e sofferta cui la regia aggiunge alla fine il valore del fattore umano, la nascita di un bebè. Vengono rabbia, commozione, tenerezza anche se come cinema la somma degli addendi non produce il jolly della poesia.
Maurizio Porro – Il Corriere della Sera