Durante un vertice di Presidenti latinoamericani presso La Cordillera, in Cile, in cui si formano alleanze e strategie geopolitiche, il Presidente dell’Argentina Hernán Blanco si ritrova a vivere un dramma che potrebbe influire sulla sua situazione politica e familiare. A causa di suo genero, infatti, è implicato in un caso di corruzione. Decide quindi di far venire sua figlia Marina al summit, così da trovare protezione e guadagnare tempo per negoziare una via d’uscita, ma il summit darà anche occasione a padre e figlia di scavare nel reciproco passato… Un film d’impianto tragico, quasi scespiriano che, in un estraniante ambiente innevato, prova a scongelare i dilemmi esistenziali e le responsabilità politiche.
La cordillera
Argentina/Francia/Spagna 2017 – 1h 54′
In un hotel isolato sulla cordigliera andina si tiene un vertice dei Capi di Stato latinoamericani destinato ad influenzare il futuro energetico di tutta l’area. Il presidente argentino Hernán Blanco raggiunge la riunione concentrato su una doppia problematica. Da un lato c’è il rischio che l’ex genero (la figlia è separata) faccia scoppiare uno scandalo su finanziamenti occulti alla sua parte politica. Dall’altro sono in atto grandi manovre a favore o contro l’ingresso degli Stati Uniti nell’accordo. Santiago Mitre ha ormai definito la propria collocazione nell’ambito del cinema argentino: è il regista che esplora le varie declinazioni della politica sul grande schermo mutando sia ambito sociale che stile di ripresa.
Se in El Estudiante – Lo studente affrontava il tema della frammentazione dei movimenti politici in ambito universitario e in Paulina andava a leggere l’impegno portato all’estremo nei confronti dei più diseredati, qui l’ambito muta nuovamente e si fa, in qualche misura, più rischioso. Il punto di partenza è analogo perché Hernán Blanco è stato eletto come rappresentante dell’uomo ‘comune’, ed è ora un presidente così comune da essere considerato dai suoi avversari politici praticamente invisibile. È con questa immagine che raggiunge il vertice che si tiene in Cile ed è così che è considerato anche dai suoi colleghi, convinti di poterlo manipolare con facilità.
Mitre però non si accontenta di questo scenario, di per sé già complesso, ma vi aggiunge sin dall’inizio l’ombra dello scandalo in ambito privato che gli consente di sviluppare un backstage politico-familiare in cui inserire anche la figura di un ipnotizzatore. Tutto ciò potrebbe rivelarsi decisamente destabilizzante per una sceneggiatura di cui è il co-autore. Gli vengono però in aiuto due elementi fondamentali. Il primo è l’aver trovato la gestualità e la versatilità di Ricardo Darin che offre in tutti i momenti al suo personaggio quella percentuale di credibilità che è imprescindibile in un film come questo. Il secondo è costituito dalla location: niente di più dei tornanti che consentono l’ascesa della Cordigliera può essere più rappresentativo delle tortuosità della politica agli alti livelli. Anche quando è nelle mani di uomini che pretendono di essere ‘comuni’.
Giancarlo Zappoli – mymovies.it
Al centro de Il Presidente l’esplorazione della politica e delle sue ombre, il disvelamento lento e impietoso dei suoi personaggi, le trame oscure tessute dall’incessante lavorio della diplomazia: un gioco di chiari e scuri a cui lo spettatore verrà introdotto dal piano sequenza iniziale, che è solo il preludio di un progressivo avvicinamento al protagonista della storia, Hernán Blanco (Ricardo Darín), presidente argentino eletto da appena un anno, che ha costruito la propria carriera politica sull’immagine dell’uomo del popolo.
Santiago Mitre lo segue tra le stanze grigie di un isolato hotel della Cordigliera delle Ande nei giorni del summit dei leader politici dell’America Latina in Cile per definire i termini di una nuova alleanza petrolifera tra gli Stati del Sud America. Blanco si ritroverà da un lato a dover gestire uno scandalo imminente e i fantasmi della propria vita privata, dall’altro a negoziare l’ingresso degli Usa nel nuovo accordo. L’immagine più intima e emotiva si intreccia e si sovrappone così a quella pubblica del personaggio, in un continuo passaggio da un piano all’altro che contribuirà a definirne luci e ombre.
Nella regia attenta di Santiago Mitre il ritratto di Blanco passa attraverso un’ideale divisione del film in due parti: una prima realistica e rigorosa (quella della quotidianità del presidente fatta di appuntamenti, incontri, interviste) e una seconda più immaginifica, visionaria e surreale, dove i contorni definiti del reale sfumano in un disturbante thriller psicologico. (…) Si fa strada la metafora del potere che manipola, deforma, plasma evocando atmosfere alla Shining, come suggerisce quel paesaggio innevato e sinistro, abitato da tornanti e plumbee stanze d’albergo, un luogo non luogo dove finzione e realtà si rincorrono fino a generare un effetto straniante.
Ci pensa la fotografia di Javier Julia invece a segnare il passaggio da un registro a un altro: la luce naturale, che accompagna la macchina a mano delle prime sequenze, diventa via via meno diffusa e si apre ai contrasti (…) Un film di parola, scritto (dallo stesso regista che co-sceneggia insieme a Mariano Llinas) persino nel non detto, fino ai dettagli più nascosti e remoti; il resto sta nella grandezza di Ricardo Darín, capace di tratteggiare la natura ambigua di Blanco con un gesto, un’occhiata, una battuta.
Elisabetta Bartucca – movieplayer.it