Parigi 1967. Jean-Luc Godard, il cineasta più in vista della sua generazione, gira “La cinese” con la donna che ama, Anne Wiazemsky, più giovane di lui di 20 anni. Sono felici, innamorati, affascinanti e si sposano. Ma quando il film esce, l’accoglienza che riceve porta Jean-Luc a rimettere profondamente in discussione le sue idee. Il Maggio ’68 non fa che amplificare il processo e la crisi che scuote Jean-Luc lo trasformerà radicalmente: da cineasta star ad artista maoista fuori dal sistema, tanto incompreso quanto incomprensibile. Hazanavicius, trovando un equilibrio miracoloso tra satira e omaggio, affettuoso sfottò e deferenza, fornisce un ritratto implacabile del vate della Nouvelle Vague.
Le Redoutable
Francia 2017 – 1h 42′
Non è un Godard che piacerà ai cinefili, non è il teorico del meta cinema anche se si parla di specifico filmico, è il topo di cineteca in attesa di farsi idolo (…). Bisogna prenderlo così, il futuro genio teorico e il 37enne occhialuto, pazzo con un metodo ancora indistinto ma che Louis Garrel (somigliante in bello) ci fa intuire con dote di preveggenza d’attore in stato di grazia e complice per il santone snob del cinema della Nouvelle Vague.
Maurizio Porro – Il Corriere della Sera
Su Sentieri Selvaggi leggiamo: “Prima o poi doveva accadere che la borghesia si vendicasse di Jean-Luc Godard. Ci ha pensato Michel Hazanavicius”. E via con gli insulti all’indirizzo del regista, già colpevole con The Artist di aver sfruttato il cinema muto per appagare “il pubblico dei salotti e quello hollywoodiano”. Toni e ideologia da anni Settanta, quando i critici che scrivono su Sentieri Selvaggi neanche erano nati. Da tempo raccogliamo prove per dimostrare che i giovani critici son più vecchi dei vecchi: questa è preziosa. Messa da parte la lesa maestà – per un maestro che da troppi anni ci annoia con i suoi deliri, qualcuno girato a bordo della Costa Concordia, qualche altro in un 3D buono soltanto a procurare l’emicrania – Il mio Godard è molto meglio del santino che sembrava quando fu annunciato. La sovrapposizione tra l’antipatico regista e l’antipatico attore Louis Garrel che ne rifà le manie e i proclami, con gli occhiali sempre rotti e l’accento svizzero (bello sarebbe se girasse ogni tanto una versione con i sottotitoli) funziona benissimo. La spedizione al festival di Cannes 1968 è un monumento all’autolesionismo in nome della rivoluzione. Le Redoutable era il titolo originale, dalla frase che scandiva un reportage sul sottomarino nucleare francese costruito nel 1967: “Così va la vita, a bordo del Redoutable”. In casa di Godard e della giovanissima moglie Anne Wiazemsky era ripetuta per comporre gli screzi, che poi diventarono litigi…
Mariarosa Mancuso – ilfoglio.it
Il regista Michel Hazanavicius mette in chiaro che è lontana l’intenzione di ridicolizzare Jean-Luc Godard. Mentre rivendica quella di svolgerlo come una commedia e quella di valorizzare quanto di comico è secondo lui presente nella figura del mitico regista svizzero-francese. Di certo c’è che è molto opportuno il titolo italiano Il mio Godard (quello originale è Le Redoutable, cioè ‘temibile’, nome del sottomarino nucleare francese cui nel film si riferisce un allegro tormentone, ma anche qualifica dell’aspro personaggio). A indicare che non stiamo assistendo a un neutro biopic ma a una personale interpretazione. Che è il risultato di un complesso di punti vista quello di Hazanavicius, quello dell’interprete del ruolo Louis Garrel (che è un abile imitatore di Godard) e quello di Anne Wiazemsky (…) che alla relazione ha successivamente dedicato due libri (fonte per la sceneggiatura) (…). Il mio Godard mette a fuoco l’uomo e l’artista nella sua relazione amorosa con Anne. Logorata, nonostante l’incondizionata adorazione di lei, dall’intransigente e capriccioso radicalismo di lui. Che, per quanto il sentimento del regista e del film non persegua un intento demolitore (‘ironia senza cattiveria’), risulta fatalmente caricaturale.
Paolo D’Agostini – La Repubblica
Un film alla Godard che, pur giocando sul privato, ambisce a suggerire l’affascinante contraddittorietà di una poetica d’autore creativamente intessuta delle nevrosi, vanità, insicurezze e protervie dell’uomo. Louis Garrel incarna lo sfaccettato personaggio con impassibile, bislacca naturalezza, conferendogli un sovrappiù di scontrosa simpatia. Ma va da sé che questo è un film fatto per dividere i cinefili, e molti di sicuro grideranno alla lesa maestà.
Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa