All’età di 26 anni, Karl Marx si mette insieme alla moglie Jenny sulla strada dell’esilio. Nel 1844 a Parigi conosce il giovane Friedrich Engels, figlio del proprietario di una fabbrica, che studiava gli inizi del proletariato inglese. Engels, una specie di dandy, dà a Marx il pezzo mancante del puzzle che ricompone la sua nuova visione del mondo. Insieme, tra censura e raid della polizia, rivolte e sollevamenti politici, presiederanno alla nascita del movimento operaio… Ricostruzione storica efficace e buon mestiere per una biografia cinematografica che rifugge la banalità e abbozza un riuscito tentativo di contestualizzazione.
Le jeune Karl Marx
Francia/Germania/Belgio 2017 – 1h 52′
Un film di Raoul Peck, vale a dire un’opera in cui si mescolano insieme e in parti il più possibile uguali degli elementi biografici, intimi, politici, storici. Ora, nel caso dell’oggetto Marx, ognuno di questi aspetti poteva dare luogo ad un’interpretazione, nella misura in cui l’ordine di presentazione è sempre una maniera di esporre un rapporto di causa a effetto: la vita sull’opera, la politica sulla vita, il carattere sulla politica, la teoria su tutto il resto… È chiaro che in un film, e in particolare in un film in costume, è la parte romanzata a prendere il sopravvento. Fin dalla prima sequenza, però Raoul Peck e il suo sceneggiatore Pascal Bonitzer hanno cercato di riequilibrare il tutto mettendo al centro il lavoro teorico, cosa notoriamente non facile da filmare. (…) il racconto della miseria economica in cui versa l’autore del Capitale, permette al regista di togliere al lato dickensiano il ruolo di traino del film. Ma Peck ha voluto evitare di fare un film pedante. Ha cercato di concentrare il pensiero di Marx in un concetto unico che irriga tutto: l’idea del conflitto. (…) In questo sforzo di piegare le regole del biopic ad un esigenza pratico-teorica il film è ammirevole, così come il tentativo di restituire tutti i lati possibili della personalità di Marx: il genio, l’uomo, il suo pensiero, i suoi limiti – e il suo rapporto speciale con Jenny e con Engels. Ma il risultato è un film che decide di scegliere il meno possibile: evita di farsi schiacciare da un materiale potenzialmente infinito, al prezzo di addomesticarne la potenza.
Eugenio Renzi – Il Manifesto
Il giovane Karl Marx è un titolo sbagliato per un film azzeccatissimo. Sbagliato perché l’opera di Raoul Peck è due cose, innanzitutto: un resoconto straordinario del clima e del contesto politico e culturale nel quale è nato il socialismo scientifico ed è stato scritto il Manifesto del partito comunista; e la storia del sodalizio intellettuale e umano tra Karl Marx e Friedrich Engels. Qualcosa in più, insomma, di un’operetta biografica sul giovane Marx. E allora emergono almeno tre spunti, come bussola per il tempo presente:
Il primo è che il movimento operaio, quell’esercito fino a allora disorganizzato di proletari, di donne e uomini gettati come carbone nel forno della locomotiva industriale dell’Europa di metà ottocento, senza una teoria scientifica (e senza una traduzione politica comprensibile e immediata, quel “catechismo” per le masse di cui Engels parla nel film), non sarebbe mai diventato classe. Non sarebbe mai diventato motore attivo di un processo capace di segnare la storia. Si badi, nelle didascalie finali si commette un errore marchiano, mettendo in relazione diretta i moti che nel 1848 sconvolsero l’Europa con il Manifesto di Marx e Engels. Sappiamo bene che teoria e pratica non sono mai (e non furono allora) così interconnessi. E che il Quarantotto non fu precisamente una rivoluzione proletaria. Ma rimane il punto: la centralità (per noi l’urgenza) di una visione del mondo organica che non sia retorica, velleitaria, sentimentalistica, parolaia. È il tema dell’ideologia non come falsa coscienza ma come organizzazione sistemica di un pensiero e di una identità. E della filosofia -nel film si fa recitare a un Karl Marx ubriaco dopo una serata goliardica la famigerata undicesima “Tesi su Feuerbach”- come pensiero della trasformazione e non come teoresi astratta.
Il secondo spunto è che anche nella riflessione più rigorosa, nell’organizzazione più disciplinata dello studio, della ricerca e dell’elaborazione (tanto di Marx quanto di Engels, la cui inchiesta su “La situazione della classe operaia in Inghilterra” viene giustamente valorizzata anche nella rappresentazione filmica) non viene meno la dimensione degli affetti, dell’amore, della passione in senso lato. Anzi, ne risulta esaltata. Non soltanto nella tenerezza contrastata, contraddittoria, fragile che lega Marx a Jenny von Westphalen e Engels a Lizzie Burns. Nella condivisione e nelle lontananze, persino nei silenzi e nelle incomprensioni. Ma anche nella amicizia tra Marx e Engels. In quel senso di fraternità atavica che lega gli operai, che interseca i destini privati e quelli collettivi, che dà un senso al sacrificio, alla rinuncia, al carcere, alla lotta.
E questo è il terzo spunto: se Peck ci vuole suggerire un sinonimo della parola “comunismo” questo sinonimo è “lotta”. Lotta quotidiana, conflitto tra le classi, contraddizione insanabile dentro una storia che non fa sconti e procede secondo una dialettica dicotomica irriducibile. Lotta come essenza strutturale della vita, come risposta ineliminabile di fronte alla sfruttamento (“ciò che voi chiamate profitto in realtà è sfruttamento”, dice Marx in una scena eccezionale al padrone dell’opificio che difende la ratiodello sfruttamento della manodopera minorile). Lotta come dimensione inevitabile e vera della storia.
I titoli di coda scorrono su diapositive che raccontano la lunga sequenza di assalti al cielo che dal Manifesto del 1848 arriva ai giorni nostri. La musica che li accompagna è Like a Rolling Stone di Bob Dylan. Mancano le nostre, di diapositive. Quelle che devono tornare a raccontare una teoria nuova per una nuova classe di sfruttati. Consapevoli che non siamo nati oggi, che non c’è mai soltanto il presente. Perché siamo parte di una trama in movimento, fatta di lotte, amore, passione. Fragilità e contraddizioni. Come la vita, teatro vero della storia e delle sue rappresentazioni..
Simone Oggionni – huffingtonpost.it