Ismael Vullard è un regista e sta per girare un film su Ivan, un atipico diplomatico ispirato da suo fratello. Insieme a Bloom, suo maestro e suocero, Ismael non ha ancora superato la morte del suo grande amore Carlotta, avvenuta vent’anni prima, nonostante una nuova storia con Sylvia, che per lui ora rappresenta tutto. Ma alla vigilia dell’inizio delle riprese, Carlotta ritorna dal mondo dei morti, rimettendo in discussione ogni cosa… Un film-summa in cui Desplechin chiama a ricomporre il puzzle della vita, non sono solo i personaggi ed i temi a lui più cari, ma anche i fantasmi dei suoi maestri: Bergman, Truffaut, Hitchcock, per scrivere insieme una vitalissima elegia del presente.
Film d’apertura-fuori concorso al 70° Festival di CANNES
Les Fantômes d’Ismaël
Francia 2017 – 1h 50′
Desplechin fa di Les fantômes d’Ismaël due o tre film assieme: un dramma, una commedia, una storia di spionaggio, un film sul cinema. Come Carlotta, ‘blast from the past’, dichiara di aver vissuto due decenni in un eterno presente, senza pensare al passato o al futuro, Desplechin si concentra sul presente di ogni singola scena, facendo qui il Fellini e lì l’Hitchcock, a tratti perfino il Guy Maddin, ma rimanendo sempre sé stesso. Il suo film allora muta, cambia sorprende, gioca: cerca la leggerezza, come Carlotta, fuggita dalla pesantezza dell’amore di Ismaël, e di suo padre. Per vent’anni lei ha vissuto nel presente, e loro nel passato: e con la sua storia di fantasmi (fantasmi della vita e del cinema) Desplechin racconta che solo facendo i conti con quel passato, col passato di tutti, la vita può continuare. Scappare non serve a niente, solo a far venire gli incubi. Quegli incubi da cui i protagonisti di Les fantômes d’Ismaël sono costantemente perseguitati..
Federico Gironi – Il Messaggero
…La storia è piuttosto complessa, visto che intreccia la vita privata e professionale di un regista. Mescolando scene del film che sta girando (su un fantomatico attaché d’ambasciata) con altre in cui sta ancora scrivendo la sceneggiatura, mentre dal passato torna la donna che aveva sposato giovanissimo e che era sparita per vent’anni. Sotto gli occhi naturalmente della nuova compagna del regista. Lui, lei e la rediviva. Ma anche gli incubi dell’abbandono, le angosce del suocero, la disperazione del produttore, intrecciati a qualche ‘inevitabile’ riflessione sul lavoro del regista, sulla rappresentazione della realtà, sul peso delle religioni (il suocero è scampato alla Shoah, ma lo si capisce meglio nella versione lunga). E sul cinema: degli altri (evidente il rimando a La donna che visse due volte) e di Desplechin stesso, che si cita molto, a cominciare dal nome del misterioso protagonista del film nel film, ‘Dedalus’.
Paolo Mereghetti – Il Corriere della sera
La questione fondamentale è per Desplechin ancora una volta come raccontare una storia scomponendone la struttura, in modo non lineare, avanti e indietro nel tempo, avanti e indietro nelle emozioni dei personaggi anche a costo di irritare, di peccare di eccessi non controllati. Davanti a un quadro di Pollock Ismaël sovreccitato vede la fine del suo film fino a confondersi nel suo stesso racconto e quasi a ammazzare nello slancio il produttore. E nel gioco di specchi col suo avatar Ismaël, autoironico e sferzante Desplechin lascia balenare la sua vita, le sue riflessioni costanti, a cominciare dalla questione dell’ebraismo qui appena accennata, poi gli amori e la famiglia tutti fili tesi, in cerca di una forma che interroga se stessa, che respinge la semplice messa in scena di sé per invece scomporla e ricomporla accettandone i rischi in una diversa prospettiva.
Cristina Piccino – Il Manifesto