Centenari e ultracentenari, e figli di soldati che combatterono al fronte, raccontano la Prima Guerra mondiale dal loro punto di vista. Sono le eccezionali e irripetibili testimonianze raccolte seguendo la linea del fronte dall’Isonzo all’Adige.
La guerra rappresentò per questi bambini di allora l’opportunità di assaggiare la marmellata degli inglesi, di procurare le lumache ai soldati francesi, di veder volare il dirigibile Zeppelin, di conoscere D’Annunzio ed Hemingway, di assistere alle violenze e alle atrocità della guerra, di sopravvivere alla terribile influenza spagnola… Ma anche di sperimentare la fame e la sofferenza, la rabbia e la morte, la speranza e il riscatto e, finalmente, la pace. Un grande messaggio di pace e di riconciliazione con in evidenza il ruolo avuto dalle donne rimaste a casa ad accudire i figli, tra violenze e privazioni.
Italia 2018 – 1h 48′
Frutto di un lavoro capillare e certosino durato alcuni anni, questo film è la testimonianza irripetibile e introvabile di un pezzo di storia che ora appartiene alla memoria collettiva dell’Italia, ma anche dell’Europa e del mondo. Durante e dopo le registrazioni delle loro testimonianze, i “bambini” sono quasi tutti scomparsi. Dei loro drammi, della loro vita, delle loro memorie è rimasto questo film. La loro ultima e consapevole eredità, preziosa per noi e per chi verrà dopo di noi. Una sessantina di storie personali e familiari che nessun libro ha mai raccontato, e mai potrà raccontare. Un monito per noi e per le generazioni future. Un messaggio, senza tempo, di pace e di tolleranza.
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(Villorba) Applausi scroscianti, commozione e tante strette di mano per la proiezione pubblica, a Casa Marani, del film I bambini della Grande Guerra, alla presenza del regista Alessandro Bettero. Un film che non ha una voce narrante, come spesso accade per i documentari, ma si sostiene – e molto bene – con le testimonianze dei tanti bambini di allora. Alcuni di questi il regista li ha trovati proprio nella struttura di Villorba ed è rimasto addolorato nell’apprendere che qualcuno di loro, come la signora Flora, non c’è più. “Lavoro a questo film da qualche anno – ha dichiarato – e ormai li conoscevo bene, per aver trascorso del tempo insieme a loro durante le riprese e poi in tutta la minuziosa opera di montaggio”. Lo ha detto incontrando i parenti degli anziani protagonisti del film, che hanno voluto dimostrargli la loro gratitudine per questo lavoro impagabile che raccoglie la memoria storica di chi c’era o che di riflesso ha vissuto il primo conflitto mondiale. Una fetta importante di storia documentata anche con preziose immagini dell’epoca. Non sono molte per la verità e realizzate perlopiù da Americani, Francesi e Inglesi.
Ed è pregevole, dunque, anche il lavoro di ricerca sulle immagini che supportano i tanti ricordi. C’è chi ha conosciuto un Hemingway ferito, chi non riconosceva più il proprio papà, partito con i baffi e tornato senza, chi ricorda di aver visto volare il dirigibile Zeppelin. In tanti hanno patito la fame e le deportazioni. Perché non tutti sanno che moltissime famiglie furono costrette a lasciare le loro abitazioni occupate. “Le donne – ricorda un’anziana – piangevano dando un ultimo sguardo alle loro mucche che avevano bisogno di essere munte”. Piccoli particolari che danno l’idea di cosa potesse essere la Grande Guerra anche lontano dal fronte. “Cercare i testimoni, seguendo la linea del fronte dall’Alto Isonzo fino all’Adige, è stata un’impresa titanica – ha raccontato il regista – così come accertare i racconti perché il film diventasse realmente un pezzo di storia. Un paese che non ha memoria non ha futuro – ha aggiunto – per questo ho cercato di mettere insieme dei tasselli che rischiavano di andar perduti per sempre. È stata una generazione straordinaria, che ha affrontato prove che per noi sarebbero insopportabili, che ha vissuto con capacità e coraggio e ci insegna che il dialogo probabilmente è la soluzione migliore per evitare ogni conflitto. Loro la guerra ce l’avevano in casa, mentre i padri e gli zii erano al fronte. In molti non sono più tornati – conclude – ma è un vuoto che si riempie di speranza e di coraggio. Una lezione di vita per cui sono personalmente grato”.
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