Una visione introspettiva nella vita e nel percorso artistico di William Friedkin, regista straordinario e anticonformista di grandi cult-movie. Friedkin si mette in gioco guidando il pubblico in un affascinante viaggio attraverso i temi e le storie che maggiormente hanno influenzato la sua vita e il suo percorso artistico, accompagnato da un cast “stellare”, voci e testimonianze di amici e collaboratori.
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Italia 2018 – 1h 47′
documentario
In tempi in cui, grazie al web, il grande cinema del passato è paradossalmente a portata di mano di chiunque ma sempre meno frequentato, specialmente dai giovani, ben vengano i documentari retrospettivi a illuminare ascesa caduta e rinascita dei maestri della settima arte. Poiché, se il film di Francesco Zippel rientra indubbiamente nella categoria suddetta, altrettanto indubbia è l’appartenenza di William Friedkin al ristretto novero dei cineasti che hanno realmente contribuito, pellicola alla mano, a innovare profondamente lo stile, il gusto e la percezione del fenomeno cinematografico a partire dagli anni settanta, incidendo come pochi altri su generi come il poliziesco e l’horror sulla scorta di una poetica personalissima e inconfondibile ma scevra di sterili intellettualismi.
Friedkin, americano figlio di ebrei ucraini, arriva al cinema quasi per caso, percorrendo tutta la gavetta da quando comincia a lavorare, come smistatore di lettere, per un’emittente televisiva. Un esordio folgorante da documentarista (che contribuisce a salvare la vita di Paul Crump, un afroamericano condannato alla sedia elettrica), Friedkin ottiene la consacrazione con il leggendario Il braccio violento della legge, Oscar al miglior film nel 1972 e chiave di volta del noir/poliziesco successivo. Da quel momento segue una serie di capolavori, dall’acclamato Esorcista e da Il salario della paura fino al bellissimo e angosciante Cruising, tuttora da rivalutare pienamente, con cui il regista si avvia lungo una parabola discendente, anche a causa di ripetuti flop al botteghino, fatta eccezione per l’altra pietra miliare – questa volta degli anni ottanta – rappresentata dal noir iperrealista Vivere e morire a Los Angeles, con un luciferino Willem Dafoe.
Il doc di Zippel è doppiamente interessante: a un livello tematico perché affronta con precisione i due aspetti chiave del Friedkin-pensiero, vale a dire la riflessione sulla vulnerabilità dell’uomo dinanzi alle manifestazioni del Male e l’approccio documentaristico dello stile e dell’andamento narrativo. A un livello puramente contenutistico, Friekdin Uncut offre infine, com’è giusto che sia, un’enorme mole di materiale di repertorio, tra cui alcune splendide sequenze di backstage che documentano la lavorazione di capolavori come L’Esorcista e The French connection.
Tutta da godere, infine, la consueta sequela di interviste: oltre a Friedkin stesso, la macchina da presa coglie i contributi, tra gli altri, di Francis Ford Coppola, Walter Hill, Dario Argento, Quentin Tarantino, Willem Dafoe, Wes Anderson, Damien Chazelle, Juno Temple e Matthew McConaughey.
Gianfrancesco Iacono – cinematografo.it
Vita e opere di William Friedkin, condensate in una lunga intervista con aggiunta di testimonianze illustri di colleghi (Wes Anderson, Quentin Tarantino, etc.) del mondo del cinema. Per andare dritto al punto Francesco Zippel sceglie la via più breve. Tra tutte le provocazioni scagliate da un professionista della materia come William Friedkin, Zippel colloca la più eclatante – “le due personalità storiche più interessanti sono per me Hitler e Gesù Cristo” – in apertura di Friedkin Uncut.
Un inizio scioccante e dirimente, divisivo: o con me o contro di me. Come è sempre stato per William Friedkin e per il suo cinema, accusato di ogni possibile malefatta, censurato e osteggiato, ma allo stesso tempo adorato da fan ed emuli del regista di L’esorcista.
Dal canto suo Friedkin fa di tutto per rimanere sopra le righe. Il documentario-intervista ne stimola l’atteggiamento istrionico e vagamente machista, agevolando uscite come “le prove prima di girare sono roba per femminucce, per mezze calzette”. Ma se qualcosa forse poteva essere escluso in fase di montaggio, il film di Zippel ha il pregio di far emergere con vigore a natura l’uomo Friedkin, lontano dalla macchina da presa. Una spavalderia tutta americana, che dialoga e contrasta, in un accostamento voluto, con l’atteggiamento di Fritz Lang, oggetto nel 1975 di analogo trattamento (con Friedkin nei panni che oggi sono di Zippel). Ma il principale interesse tanto di Zippel che degli spettatori resta concentrato sulla carriera del nostro, che si interseca via via nel flusso autobiografico dell’intervista. Una sequenza di titoli fondamentali e appartenenti a generi molto diversi tra loro, difficili da attribuire al medesimo autore. L’esorcista e il suo incredibile successo, Il braccio violento della legge e l’abbattimento di steccati dell’hardboiled, Il salario della paura e la delusione di un flop costosissimo (oggi cult). Una carriera singolare e proprio per questo, forse, esemplare su come sia travagliata la relazione tra Hollywood e autori.
Nell’ambito di una cornice da fan, tecnicamente assai tradizionale, Zippel ha il grande merito di concentrare testimonianze e montaggio su alcuni punti fondamentali della poetica friedkiniana. Come la relazione tra i titoli cult di Friedkin e i relativi decenni di appartenenza, o la verosimiglianza sorprendente di tecniche e metodi messi in scena – il denaro falso di Vivere e morire a Los Angeles, i locali sadomaso di Cruising – in merito alla quale Friedkin Uncut rivela aneddoti alquanto bizzarri. Un documentario che non aggiunge nulla dal punto di vista tecnico, ma regala spunti e nozioni sull’autore, note fin qui solo ai seguaci più incalliti.
Emanuele Sacchi – mymovies.it