Durante la guerra fredda, tra la Polonia staliniana e la Parigi bohémienne degli anni ’50, un musicista in cerca di libertà e una giovane cantante vivono un amore impossibile in un’epoca impossibile. Romantico e melanconico, Col War ha un ritmo vorticoso e avvolgente: perfetti regia e montaggio, straordinaria la colonna sonora.
Zimna wojna
Polonia 2018 – 1h 25′
CANNES 2018 – Premio alla regia
CANNES – Radicato in Inghilterra fin da giovanissimo, il polacco Pawel Pawlikowski torna a girare per la seconda volta nella sua terra natale, dopo il successo di Ida, premio Oscar 2016 per il miglior film straniero. Realizzato nello stesso nitido, patinato bianco e nero e nello stesso evocativo formato quadrato 4:3, Cold War, premiato “solo” per la miglior regia è di nuovo un trionfo in tutti sensi..
1949. In una Polonia in ginocchio, affamata, appena uscita dalla guerra Victor (Tomasz Kot), Irene (Agata Kuleszka), sua assistente e amante, ed il commissario politico Kaczmarek girano villaggi e campagne per registrare e conservare antichi canti popolari. Allo stesso tempo devono trovare e reclutare giovani talenti in vista della fondazione di una compagnia di canto e ballo (la Mazowske, ancora esistente) che dovrà interpretare e far conoscere anche all’estero, segnatamente nei “paesi fratelli”, il meglio della musica e del folklore polacco.
Sarà proprio durante uno di questi casting che Victor nota Zula (Joanna Kulig). Non è la più bella ne la più brava e neanche la più simpatica (tra l’altro veniamo a sapere che è in libertà vigilata per aver tentato di uccidere il padre), ma ha carisma, personalità, buca la scena. In breve tra i due scocca la scintilla; Irene scompare e Zula diventa la vedette della rivista, che passa di successo in successo, di tournée in tournée. E le riprese dei vari spettacoli, benché in bianco e nero, sono tra le più incantevoli e travolgenti di questo genere mai viste al cinema!
Nel frattempo però la compagnia viene trasformata da fenomeno popolare in un veicolo di propaganda politica. Sullo sfondo delle scenografie appare il faccione di Stalin, le coreografie esaltano le conquiste del nuovo regime comunista… In tourné a Berlino Victor decide di fuggire e dà appuntamento a Zula nel settore francese.Ma lei (più vile, più compromessa avendo più cose da perdere) non si presenta.
Lui si stabilisce a Parigi, dove sopravvive come pianista jazz. Negli anni che seguono (appunto quelli centrali della guerra fredda tra oriente e occidente) i due si inseguono si separano si ritrovano infinite volte, al di qua e al di là della cortina di ferro. Entrano altri personaggi, altre donne per lui, altri uomini per lei (c’è addirittura un ”matrimonio“ italiano ) e tuttavia proprio quando sono lontani non riescono a fare a meno l’uno dell’altra.
Più romantico, più melanconico, più “fruibile” di Ida, Cold War ha un ritmo vorticoso; ridotti al minimo i dialoghi, tutto è affidato alla regia e soprattutto al montaggio. E poi c’è la straordinaria colonna sonora, un viaggio musicale che salta dal popolare etnografico al roboante propagandistico, fino ad approdare alle raffinatezze di un Glen Gould, di un Gershwin, di un Bach rivisitato nella Parigi esistenzialista.
E ancora , come in Ida, c’è la ricerca del “cuore nero” della Polonia, soprattutto nel personaggio di Zula, che anela sì alla libertà ma allo stesso tempo non sa staccarsi da un conformismo, una paura, una non accettazione del mondo occidentale (e le vicende politiche della Polonia odierna, sull’orlo di un revanscismo e di un isolazionismo anti europeo lo stanno a testimoniare).
Il profondo coinvolgimento emotivo di Pawlikowski è dichiarato. A partire dai nomi, Wiktor e Zula, il film è ispirato alla reale vicenda dei suoi genitori. Due persone straordinarie di per sé dichiara nelle note di regia, ma come coppia un disastro.
Nec tecum nec sine te vivere possum. La citazione da Ovidio era apparsa all’inizio, ma sarà solo nell’ultimo ritrovarsi dei due amanti davanti alla chiesetta diroccata che era stata il luogo del loro primo incontro che la vicenda troverà un suo inaspettato, sconvolgente finale.
Giovannni Martini – MCmagazine 46