Anni 50. A Suburbicon, città-modello linda e tranquilla, vive Gardner Lodge con la moglie Rose (paralizzata in seguito ad un incidente), il figlio Nicky e la sorella gemella di Rose, Margaret che amorevolmente li accudisce. A turbare la comunità è l’arrivo nella villetta accanto di una coppia di colore, i Meyers, con un bambino dell’età di Nicky. A spezzare la pace in casa Lodge è l’irruzione di due malviventi che stordiscono con il cloroformio, uccidendo Rose… La black-comedy diretta da George Clooney (da una vecchia storia dei fratelli Coen) nasconde sotto l’apparenza idilliaca un’implacabile ferocia, dipingendo il meglio e il peggio dell’umanità nelle azioni della gente comune.
USA 2017 – 1h 44′
VENEZIA – Passata purtroppo un po’ in sordina rispetto agli altri americani presenti a Venezia, l’ultima regia di George Clooney (dopo il mezzo scivolone di Monuments Men) è una convincente commedia dalle tinte dark ambientata in una cittadina-bomboniera della periferia americana. Suburbicon appunto, strade tranquille e giardini immacolati, è il luogo perfetto dove vivere e crescere dei bambini. Ma mentre la placida quiete del posto viene messa in subbuglio dall’arrivo nel quartiere della prima famiglia di colore e per le strade il malcontento diventa violento, la famiglia Lodge dovrà fare i conti con l’orrore che si consuma tra le mura della propria casa…
Complice il contributo di un direttore della fotografia straordinario come Robert Elswit (Il petroliere – Vizio di forma) l’ambientazione anni ’60 del film assorbe i colori di una dimensione sospesa: Suburbicon pare un altrove quasi fantastico nelle sue tinte pastello, ma fa da sfondo a una storia dalle venature grottesche da seguire fino alla fine per capire chi siano realmente i buoni e chi i cattivi.
La formula non è così banale ovviamente, e nemmeno la sua morale, ma è abbastanza ovvio che per confrontarsi con un’America ancora fresca di elezioni presidenziali, Clooney preferisca rendere cristallini, e quasi favolistici per questo, i propri intenti. Il film in effetti risulta essere un congegno semplice, ma altrettanto inesorabile nel gioco tra fatalità e errore letale. Per tutta la sua durata si compone e brilla di riflessi e contrasti la cui chiave di lettura si svela schietta e priva di ambiguità. Un’America di ieri che richiama all’appello la società contemporanea, quella di Trump certo, ancora pronta ad inciampare sulla questione razziale. Confini e staccionate prontamente alzati a separare il diverso che piuttosto indicano chiaramente dove si celi il mostro. Tanto l’equivoco si nutre dell’ignoranza quanto le metamorfosi mostruose dei molti personaggi risultano inevitabili. Il divertissement è continuo e incalzante, tra caricature e violenza esplosiva che incorniciano il talento di tutto il cast di attori – Matt Damon e Julianne Moore sono perfetti e esilaranti.
Così nel noir di cui è imbevuta la sceneggiatura – regalata all’attore dai fratelli Coen che l’avevano abbandonata da tempo – l’occhio privilegiato è quello ottimista dei bambini, che restano sconcertati di fronte all’assurdità delle azioni degli adulti, ma che sono anche capaci di lasciarsi alle spalle il dolore e la cattiveria per rimettersi a giocare insieme. Ai più grandi invece non è chiesto tanto lo sforzo di intercettare lo scarto tra quello che si conosce e la realtà, quello è già elegantemente appuntato nelle pieghe della sceneggiatura, le apparenze sono già tutte smascherate e il loro senso chiarito. Semmai, come se fosse poco, si è invitati a comprendere perché sia necessario rifiutarsi di accettare l’ingiustizia delle convenzioni, oggi come ieri, anche a costo di mettere in discussione le istituzioni, le loro convenzioni e le loro regole.
Valentina Torresan – MCmagazine 43