L’avventuroso e carismatico Robin Cavendish ha tutta la vita davanti quando si ritrova paralizzato a causa della poliomielite che contrae mentre è in Africa. Contro il parere di tutti, sua moglie Diana lo fa dimettere dall’ospedale e lo porta a casa dove la sua dedizione e la sua intelligente determinazione sapranno trascendere la disabilità. Insieme, si rifiutano di diventare prigionieri della sofferenza di Robin e incantano gli altri con il loro umorismo e la loro sete di vita. Ispirata alla vera storia dei genitori del produttore, Ogni tuo respiro è una commovente celebrazione del coraggio e della forza dell’amore: edificante ma senza retorica “insegna” a vivere ogni respiro come se fosse l’ultimo.
Breathe
Gran Bretagna 2017 – 1h 54′
Robin Cavendish ha tutto dalla vita: è bello, aitante e fascinoso. Tanto da conquistare l’apparentemente inaccessibile Diana. Mentre la coppia di sposi nel dicembre 1958 si trova in Africa Robin contrae una forma di poliomielite che lo immobilizza in un letto e lo lega a un respiratore con una diagnosi che non gli lascia molto tempo da vivere. Diana, contro il parere della medicina ufficiale, lo porta a casa offrendogli delle opzioni terapeutiche mai tentate prima. Jonathan Cavendish non è solo il figlio di Robin nato poco dopo che il padre era stato colpito dalla malattia ma è anche il produttore del film. Questo fa sì che l’intera operazione assuma una dimensione del tutto speciale. L’inizio sembrerebbe iscrivere Ogni tuo respiro nell’ambito di quei film biografici che si ispirano alla realtà inondandola di sentimentalismo tanto da provocare un innalzamento del tasso glicemico dello spettatore. Dal momento in cui la malattia prende il sopravvento ci si accorge, minuto dopo minuto, che il fine è assolutamente diverso e che quel prologo aveva una sua ragione. Perché qui non ci si limita a ripercorrere le tappe di quello che avrebbe potuto essere solo uno sterile calvario individuale. Si racconta un calvario che invece si è trasformato in un’opportunità non solo per rendere più accettabile la vita di Robin Cavendish ma anche per garantire a pazienti in condizioni analoghe grazie a quegli strumenti che avrebbero consentito loro un’esistenza da condurre al di fuori dell’istituzione ospedaliera. Cavendish, Diana e coloro che li hanno affiancati ed aiutati sono stati dei pionieri in questo campo ed era giusto che il cinema ne raccontasse la storia. Ma proprio quello che potrebbe far storcere il naso ad alcuni critici costituisce invece il punto di forza del film. Lo stile molto british che fonde ricostruzione con humour sottile, che non avvolge la vicenda in un’atmosfera stabilmente cupa ma sa alternare situazioni critiche con sequenze più rilassate, è perfettamente funzionale a una diffusione di Ogni tuo respiro presso il pubblico più vasto. Anche quello, per essere ancora più espliciti, che non disdegna il cinema un po’ old fashion.
Giancarlo Zappoli – mymovies
Onora il padre. È la sintesi di questo straordinario -per il soggetto trattato- film, fortemente voluto e poi prodotto da Jonathan Cavendish per raccontare al pubblico la storia, incredibile, dei suoi genitori. Perché il padre Robin è stato, suo malgrado, un pioniere, grazie anche alla complicità della moglie Diana. Tutto risale al 1958, in Kenia, dove il 28enne Robin, fresco di matrimonio, e con un figlio in arrivo, contrae la poliomielite. Un fulmine a ciel sereno e, soprattutto, una condanna a morte annunciata. «Le restano, aL massimo, te mesi di vita» si sente profetizzare, sul letto dell’ospedale, attaccato a un respiratore che gli impedisce di soffocare. Robin, invece, riacquista, incredibilmente, l’uso della parola, anche se, chiuso in se stesso, rifiuta di vedere il bimbo; anzi, chiede alla moglie di lasciarlo morire. È qui che emerge la tenacia di Diana, donna straordinaria, che non ci sta. Grazie all’aiuto di un professore di Oxford, Teddy Hall, la consorte riesce, prima volta nella storia, a far uscire un malato di polio dall’ospedale, portandolo nella nuova casa, dove Robin viene sistemato in un Letto collegato al respiratore. E se non ci fermassimo? Ecco che l’amico progetta una sedia a rotelle artigianale, con una pompa a batteria, che gli consente di poter uscire dall’abitazione, prima per poco tempo, poi, addirittura, per lunghi tragitti, aereo compreso. Un miracolo che va condiviso. Così, l’uomo diventa portavoce di altri disabili mentre l’ingegnosa sedia consentirà a tanti altri malati di tornare a vivere fuori da un letto d’ospedale. Sembra un romanzo e, invece, è pura realtà. E se già questa storia è, di per sé, commovente, l’interpretazione straordinaria di Andre Garfield, la rende speciale. Due ore nelle quali si esprime solo con le espressioni del viso, una prova che per tanti sarebbe stata impossibile da sostenere. Non per il giovane «Uomo Ragno» che conferma di possedere un talento fuori dal comune. Così come convincente è Claire Foy nel rappresentare i sentimenti che hanno attraversato la vita di Diana. Sapete chi dirige? Andy Serkis, il Gollum de Il Signore degli Anelli.
Giulia D’Agnolo Vallan – Il Manifesto