Khaled è un rifugiato siriano che, giunto a Helsinki dopo un viaggio clandestino a bordo di una nave da carico, chiede asilo senza grandi speranze di successo. Wikström è un rappresentante di camicie che decide di tentare la fortuna al tavolo da gioco e, avendo vinto, molla il suo lavoro per apre il ristorante La Pinta Dorata in un angolo remoto della città. I destini di questi due uomini si incrociano dopo che le autorità rifiutano la richiesta di asilo di Khaled. Insieme, forse, riusciranno a trovare nel mondo che li circonda una serena utopia di sopravvivenza… Quello di Kaurismäki è uno sguardo sorprendentemente illuminante, capace di farci vedere come le cose possono essere modificate con un sorriso o con l’improvvisa irruzione di un colpo d’ala surreale. Un cinema di una grazia contagiosa, capace di raccontare la realtà senza abdicare ai sogni.
ORSO D’ARGENTO PER LA MIGLIOR REGIA AL 67. FESTIVAL DI BERLINO (2017)
Toivon tuolla puolen
Germania/Finlandia 2017 – 1h 38’
BERLINO – Accreditato di uno straordinario 3.7 (su una scala di 4)nella grid delle più importanti riviste di cinema americane quali Variety e Hollywood Reporter,il nuovo film di Aki Kaurismaki sembrava il candidato naturale alla vittoria alla Berlinale di quest’anno. Un passo avanti anche rispetto al precedente Le Havre, Premio speciale della giuria a Cannes 2009. Ma mentre là, nell’ambientazione francese, era un anziano lustrascarpe a prendersi cura di un giovane africano deciso a raggiungere la madre in Inghilterra qui,di ritorno in Finlandia e alla favorita location del porto di Helsinki, sono i due mondi,quello della Europa e quello dei profughi per vari motivi in fuga dalle loro terre, ad incontrarsi e in qualche modo a fondersi. Un poetico voluto messaggio di speranza particolarmente benvenuto nell’anno delle sconcertanti chiusure e diktat trumpiani.
Due i protagonisti. Da una parte Khaled (Sherwan Haji) emerge letteralmente “dipinto”di nero (i colori sappiamo sono importanti e “parlano” nel cinema di A.K.!) dalla stiva di una nave trasporto carbone.Viene dalla Siria, casa distrutta, famiglia decimata, l’amata sorella che viaggiava con lui persa di vista alla frontiera ungherese. “Sbiancatosi” ai bagni pubblici, Khaled si presenta diligente all’ufficio immigrazione e comincia l’iter per la richiesta d’asilo.Visite mediche, questionari, interviste,internamento in attesa del responso delle autorità (e già qui l’arte di K.nel descrivere i vari passaggi della peraltro molto umana e corretta burocrazia finlandese è straordinaria e estremamente godibile).
Dall’altra parte,l’anziano venditore di camicie Wilkstrom (Sakari Kuosmanen, veterano di molti film del Nostro), stanco della sua incolore esistenza (anche da questa parte allora si può desiderare un cambiamento radicale!) liquida lo stock, si allontana dalla moglie alcolista e, moltiplicati i suoi averi attraverso il deus ex machina di una vincita al poker clandestino (scena da manuale – cult – K. al suo meglio) investe tutto nell’acquisto di uno sgangherato ristorante, “The Golden Pint”. Naturalmente, da uomo di cuore qual è, decide di tenersi anche la eterogenea truppa di cameriere,cameriera e cuoco – tutti ugualmente incapaci – nonché l’immancabile cagnolino adottato.
E sarà qui che le due vicende si incontrano.
Khaled, a cui nel frattempo è stato negato l’asilo e che alla vigilia del rimpatrio ha deciso giustamente di darsi alla fuga, viene trovato a dormire dietro il cassonetto del ristorante da Wilkstrom, Il quale, per niente intimorito lo ascolta, ne intuisce le possibilità e, procuratogli un falso documento d’identità, decide di assumerlo aggregandolo alla stralunata “famiglia “degli altri dipendenti . Ritorna qui ,con effetti a volte comici a volte commoventi, il tema caro all’autore della comunità degli ultimi, degli esclusi, ma proprio per questo unici depositari di umanità, di empatia, di capacità di accoglienza.
Seguono episodi esilaranti, dalla visita della vigilanza sanitaria (Tutto in ordine…a parte la sala e la cucina!) alla trasformazione, vista la scarsità degli avventori, del Golden Pint in ristorante prima indiano poi giapponese (sarà che l’Europa è disposta ad accettare il diverso da sé solo sotto forma di esperienza culinaria?). Si ride di gusto, anche in proiezione stampa, con The Other Side of Hope (sperando che questo non venga considerato un difetto, come già accaduto, da qualche giuria festivaliera).
Il finale è aperto: ritrovata la sorella, Khaled riprende il suo viaggio e la sua ricerca…
Per tutta la sua durata, il film è una summa dell’arte di Kaurismaki. Dai dialoghi “muti”, fatti solo di occhiate, alle battute fulminanti (dice il compagno iracheno a Khaled “Be happy, quelli con la faccia triste sono i primi a essere deportati”); dalle ambientazioni polverose odoranti fumo e wodka (sembra sempre di essere negli anni ’50 nei suoi film, tanto che qualcuno,di fronte alla sua minaccia di ritirarsi, ha avanzato l’ipotesi di un futuro come interior decorator specialista in vintage) fino agli immancabili intermezzi musicali provenienti da un jukebox o interpretati da Tuomari Nurmio and band che parlano senza affettazione di pietà e memoria,nostalgia e speranza .
E poi il stile di ripresa: tutto è costruito, tutto è artificiale quasi senza esterni, eppure le sequenze scivolano una dentro l’altra con una naturalezza rara…
Ok, il critico severo potrà obiettare che il film, oltre che un po’ troppo simile al precedente, è a volte un po’ semplicistico, schematico: l’aggressione già vista da parte dei neonazisti Difensori della Finlandia Libera, certi passaggi un po’ troppo didascalici dell’iter della richiesta di asilo, ma sono difetti minori.
The Other Side of Hope rimane il film perfetto al momento giusto, un Orso d’oro meritato e in un certo senso dovuto (molto più, fatta salva la carità di patria, dell’incongruo premio a Fuocammare dell’anno scorso). E che tra l’altro sarebbe apparso come un riconoscimento alla limpida coerente carriera di un cineasta qui al culmine delle sue possibilità e che mai (mai!) ha vinto un festival maggiore. Ma la giuria (Van Verdhoven presidente,2 voti…)ha voluto altrimenti.
Giovanni Martini – MCmagazine 42