Dopo che una maldestra rapina in banca fa finire in prigione il fratello minore, Constantine “Connie” Nikas intraprende una complicata odissea nei bassifondi della città nel tentativo, sempre più disperato e pericoloso, di fare uscire di prigione Nick. Nel corso di una nottata carica di adrenalina, Connie si trova a lottare contro il tempo per salvare il fratello ma anche se stesso, consapevole che le loro vite sono ormai appese a un filo. Con una regia frenetica e una sceneggiatura cupa e dissacrante, i Safdie Bros sembrano gli eredi perfetti dello Scorsese più pulsionale, tra ironia e violenza in una Grande Mela che non perdona disfunzioni e marginalità. Parola d’ordine ‘ipercinetico’!
USA 2017 – 1h 40′
Si tratta di un film da scoprire: febbrile, adrenalinico e un po’ sconclusionato, ma pieno di talento, fa pensare a una versione sotto acido di certi thriller metropolitani di metà anni 80, come Fuori orario di Martin Scorsese o Qualcosa di travolgente di Jonathan Demme. (…) La traccia narrativa è poco più di un pretesto per allineare situazioni ai limiti dell’assurdo, incontri improbabili e personaggi uno più eccentrico dell’altro (…). Good Time è un crime-movie, non un film sociale né tantomeno a tesi. Però l’itinerario erratico somiglia molto a un viaggio (con toni da incubo) tra il disagio, l’emarginazione e l’abbandono della grande città. Cui corrisponde a meraviglia il paesaggio desolato di un parco di divertimenti in stato di abbandono. Anche Connie, lo sventurato anti-eroe del film, è un marginale assoluto, un perdente sintetico pieno di contraddizioni. Pronto a sacrificarsi per il fratello, lungo il percorso si rivela anche capace di violenza e manipolazione. Però lo spettatore non perde mai l’empatia con lui, grazie alla complessità del personaggio e all’interpretazione sorprendente di Robert Pattinson: oggi non più divo come ai tempi della saga Twilight ma attore a pieno titolo, che migliora di ruolo in ruolo. Bene anche il resto del cast, con il più giovane dei due registi, Benny, nella parte di Nick, lo struggente Buddy Duress, la veterana Jennifer Jason Leigh in un cammeo come fidanzata di Connie. Se in qualche momento il film è maldestro (in particolare nel ridondante flashback sulle sventure di Ray), la sua vitalità survoltata e la sua originalità, a fronte del cinema formattato che siamo abituati a vedere, lo rendono meritevole di ogni attenzione.
Roberto Nepoti – La Repubblica
La voce profonda, dolcemente sepolcrale, di Iggy Pop scorre sui credit di chiusura di Good Time, dedicata al miraggio impossibile dei pure and damned, i puri e i dannati, che popolano anche l’ultimo film dei fratelli newyorkesi Benny e Josh Safdie. I protagonisti di Good Time sono puri perché osano, scelleratamente, spesso anche comic-stupid-amente, sognare aldilà delle loro circostanze (…); dannati perché quelle circostanze ancorano i loro sogni a terra, come un mix di sabbie mobili e superglue. Road movie notturno che ha la frenesia instancabile una comica dei Keystone cops, il surrealismo dello scorsesiano Fuori orario, unito al tempo comico e alla dinamica razziale di 48 ore di Walter Hill, trascinato da un Robert Pattinson con il trasporto febbrile e grandioso di Al Pacino in Quel pomeriggio di un giorno da cani (…). Colori acidi, stridenti, il magico occhio/obbiettivo di Sean Price Williams strettissimo su di loro e sempre in movimento, Good Time ti risucchia nel suo flusso, tesissimo e surreale, e non ti molla più…
Giulia D’Agnolo Vallan – Il Manifesto