Francia 2017 – 1h 30′
VENEZIA – “Il cannibalismo è più vicino alla condizione umana di quanto la maggior parte di noi voglia credere, sia per le molte analogie con la sessualità e la spiritualità, sia perché ha riguardato tutta l’umanità, durante la sua storia ed evoluzione.” Con queste parole i registi Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor commentano il loro ultimo lavoro, presentato nella sezione Orizzonti dove ha vinto il premio speciale della giuria.
Si tratta, in effetti, di una sintesi essenziale per capire la natura di questo documentario; Caniba (nigorizzazione dell’inglese Cannibal) è infatti un’incursione nella quotidianità di uno dei più famosi cannibali della storia che ha però ben poco a che spartire con i voyeristici e più popolari ritratti dedicati al protagonista o altri noti criminali. Le vicende che hanno visto in primo piano Issei Sagawa sono state tanto spesso raccontate (tra i vari si possono recuperare Interview with a Cannibal e The Cannibal That Walked Free) da trasformarlo in una grottesca figura pop: nel 1981, durante il suo soggiorno parigino, Sagawa uccise l’amica Renée Hartvelt e ne fece a pezzi il corpo. All’arrivo della polizia aveva divorato più di sette chili della sua carne. Grazie anche alla mediazione della famiglia fu estradato e in Giappone scontò solo pochi mesi di carcere.
Anche solo fermandosi qui sarebbe naturale definire la figura di Sagawa repellente. Voltare lo sguardo e convincersi di poter così definitivamente condannare il mostro. Ma Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor decidono di compiere esattamente l’azione opposta, differentemente, di fatto, da tutto l’iconico materiale mediatico che è possibile raccogliere su Sagawa. Dai libri ai manga, o ogni altro documento filmato, contribuiscono alla definizione del personaggio rendendolo altro, distaccandolo dalla realtà e quindi da quella che spontaneamente consideriamo normalità.
I due registi sono del resto due antropologi di professione, le arti visive si rivelano per loro un indispensabile strumento di comprensione e approfondimento attraverso cui mettere in discussione le convenzioni e scavalcare le convinzioni comuni, e dunque quelle dello spettatore stesso. L’occhio singolare della macchina da presa è l’unico in grado di esplorare così in profondità, non tanto oggettivando l’orrore dell’esperienza cannibale, quanto investigando l’invisibile o meglio ancora l’inespresso. Chi assiste è messo di fronte a una sfida che si consuma tra primissimi piani e dettagli sfocati, e ancora tra dialoghi di gelida lucidità e silenzi che sprofondano nel subconscio. Lo sguardo si rivolge al perturbante dunque, riuscendo ad aggirare l’inafferrabilità di una personalità che è tanto mostruosa quanto reale, concreta e saldamente consapevole. Carne e sangue che si nutrono di desiderio.
Si è costretti a confrontarsi con un delirio malsano vedendo Caniba, un’immersione traumatizzante perché più paurosamente avvicinabile di quanto potessimo aspettarci. Un potente affresco privo di compiacimento o mistificazioni, che esprime fino all’ultima inquadratura tutto il potere del cinema come mezzo privilegiato di comprensione di ciò che ci circonda e di noi stessi.
Valentina Torresan – MCmagazine 43