Un uomo si sveglia una mattina con un fastidioso fischio alle orecchie. Un biglietto sul frigo recita: “È morto il tuo amico Luigi. P.S. Mi sono presa la macchina”. Il vero problema è che non si ricorda proprio chi sia, questo Luigi. Inizia così una tragicomica giornata alla scoperta della follia del mondo, una di quelle giornate che ti cambiano per sempre. Un film capace di uscire dai soliti temi della commedia italiana, sostenuto da una sceneggiatura scorrevole e ricca di scene esilaranti.
BIENNALE COLLAGE – 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016)
Italia 2016 – 1h 30′
VENEZIA – Una mattina come tante, un uomo si sveglia a casa della sua ragazza con un fastidioso fischio alle orecchie, e trova un appunto sulla porta del frigo che lo informa della morte del suo amico Luigi. Nel tentativo di risolvere il problema all’udito e di dare un volto a questo fantomatico Luigi, di cui non ha il minimo ricordo, il protagonista si trova a compiere un esilarante viaggio per Roma andando incontro a situazioni al limite del surreale. A cominciare da un paio di suore che gli piombano in casa elargendo giudizi gratuiti sul suo rapporto con la fidanzata e rimanedo coinvolte in una violenta lite con un’anziana vicina, il malcapitato sarà costretto ad affrontare personaggi sempre più paradossali: l’impiegata all’accettazione del pronto soccorso che si fa gli affari propri invece di rispondere alle sue domande, i medici che non credono ai suoi sintomi e arrivano a giocargli uno scherzo assurdo, la madre, vedova, che si è messa con un giovane artista di strada (che assembla mobili Ikea senza libretto delle istruzioni per creare opere d’arte!). E poi ancora: il cassiere-automa del fast food, lo studente rapper che cita Camus, il professore universitario videoleso… Il suo viaggio allucinante si conclude in una chiesa infestata dagli scarafaggi, con un prete dedito all’alcol che finalmente gli rivela l’identità del misterioso Luigi.
Quasi travolgente nel suo comico inizio, il film diventa meno godibile quando smette di essere una vetrina delle assurdità della società contemporanea, alle quali ognuno cerca di sopravvivere come può, e vuole a tutti i costi imporre un’autorivelazione al protagonista (il disagio non è dato dalla follia del mondo, ma dal non riuscire ad adeguarsi a essa) e una morale al pubblico. Morale che viene dichiarata in modo troppo esplicito dal protagonista stesso durante l’elegia del defunto Luigi: in un mondo in cui “la follia è la nuova normalità”, l’unico modo per essere felici è mettere a tacere il rumore dei pensieri.
Orecchie, presentato a Venezia nell’ambito della Biennale College, è il secondo lungometraggio di Alessandro Aronadio, dopo il drammatico Due vite per caso portato a Berlino nel 2010. Per la sua seconda opera, il regista romano utilizza il bianco e nero e un’inquadratura dalle dimensioni variabili, che parte da un angusto quadrato e si allarga poco a poco col procedere del film; due scelte stilistiche che enfatizzano la sensazione di distacco dalla realtà vissuta dal personaggio principale. Anche la gestione del sonoro è funzionale a questo sfasamento: i rumori hanno un ruolo predominante, mentre il fischio alle orecchie, che cresce a dismisura nelle scene in cui l’irrazionalità del mondo raggiunge livelli insopportabili, è reso mediante l’assenza di suono.
Daniele Parisi, esordiente sul grande schermo, interpreta il protagonista in modo molto efficace, e dipinge la figura di un trentenne in stallo, che non riesce a dare una svolta alla sua vita accettando un lavoro che non ritiene adeguato alle sue capacità intellettuali, o formando una famiglia con la sua fidanzata storica, perché non concepisce l’idea di avere un figlio in un mondo privo di senso. Il cast si avvale anche della presenza di numerosi attori molto noti che contribuiscono a dare vita ai variegati personaggi di contorno (tra i tanti, Piera degli Espositi, Pamela Villoresi, Rocco Papaleo).
Orecchie ha il pregio di uscire dai temi più battuti della commedia del cinema italiano, per gran parte sostenuto da una sceneggiatura scorrevole e ricca di scene esilaranti, in virtù delle quali gli si perdona un finale didascalico, per certi versi discutibile.
Marta Ciardella – MCmagazine 41